Matt Berninger – Get Sunk: Il frontman dei National in libera uscita :: Le Recensioni di OndaRock
I have only two emotions
Careful fear and dead devotion
Se le uscite dei suoi colleghi – Big Red Machine, le composizioni di Bryce Dessner, Pfarmers, LNZNDRF – sono distanti o più mascherate rispetto ai National, ciò che Matt Berninger compone mettendoci nome e cognome (chiusa la parentesi EL VY) è simile a quanto producono i cinque di Cincinnati. Tanto che verrebbe da chiedergli perché non farlo uscire come nuovo disco della band dell’Ohio. “Serpentine Prison” (2020), grazie alla produzione di Booker T. Jones, suonava più classico, da camera. Il nuovo “Get Sunk”, le cui prime canzoni hanno preso forma poco dopo il debutto solista, è in linea con i National: dal punto di vista testuale e sonoro. È un male? Fortunatamente no. È un’ulteriore pagina di un libro che ormai conosciamo: un’opera malinconica, in cui l’autore non stravolge nulla, muovendosi con padronanza assoluta, ricca di dettagli.
Stati d’animo che Berninger conosce e racconta in maniera unica. A ridosso di “First Two Pages Of Frankenstein“, li ha condivisi addirittura con Dave Letterman. Senza dimenticare l’autentica e salvifica ironia: per “Get Sunk” – prodotto da Sean O’Brien – basta citare il video di “No Love”, uno dei momenti più “leggeri” dell’ascolto insieme a “Junk”.
L’inizio tremolante di “Inland Ocean”, con i cori femminili, ricorda “I Am Easy To Find“. Poi Matt si perde in viaggio, con parole che dipingono lo scenario umorale dell’opera:
I flew to Indiana to see a friend
Let me stay here, let me, please
Wrap me up in your summer sheets
Say you’re never getting rid of me
Wrap me up and bury me
In ogni pagina/traccia, Berninger dispensa un po’ di anima, quel tanto che basta a rendere le composizioni vive e autentiche. Sia nei momenti più trascinanti (la sorprendente energia di “Bonnet Of Pins”, con tanto di slancio proto-live sul finale), sia in quelli più dolenti (“Breaking Into Acting”, dove duetta con Hand Habits). In questo distillato d’anima, arrangiato e suonato magnificamente (sentite i fiati di “Frozen Oranges”), “Little By Little” rimane la traccia più bella: un pezzo che, per pathos, non sfigurerebbe tra le sad hit dei National. Il brano più interessante, però, è lo spoken/crooner cinematografico in stile anni 80 “Nowhere Special”.
E superati gli schiamazzi cittadini di “Silver Jeep”, quando, nello slancio conclusivo di “Times of Difficulty”, Berninger canta a mo’ di slogan “Get drunk, get sunk”, si ha la sensazione che l’autore abbia finalmente fatto pace con qualcosa che lo teneva bloccato.
04/06/2025