Massive Attack – Live @ Noisy Fest (Napoli, 22/06/2025)

Mentre molte band si limitano a posture di facciata, pronunciando tiepide e circostanziali dichiarazioni di dissenso nei confronti dei governi, delle istituzioni, delle organizzazioni e delle realtà economiche che continuano a sostenere — direttamente o per silenziosa complicità — il genocidio in atto a Gaza e in Cisgiordania, i Massive Attack scelgono, ancora una volta, di esporsi senza compromessi. La loro non è una posa, non è retorica da palco, ma è, soprattutto, trasparenza politica, luminosa e feroce, che travolge chiunque si ritrovi ad ascoltarli e a guardarli dal vivo. È la dimostrazione concreta che l’arte, se davvero sincera, può superare i propri confini estetici e diventare un’arma sociale, uno strumento etico, un richiamo urgente ad una responsabilità collettiva che, troppo spesso, preferiamo ignorare.
E proprio ieri sera, all’Arena Flegrea di Napoli, questo messaggio ha risuonato con una forza quasi sacrale. Mentre i bassi ipnotici e le voci sospese tra sogno e rabbia prendevano forma sotto il cielo estivo, sugli schermi si succedevano immagini, fatti, volti, nomi e numeri. Non i numeri asciutti delle statistiche, ma quelli intrisi di sangue, polvere, cenere e sofferenza: i corpi dei palestinesi massacrati dal 7 ottobre, le cifre oscene degli armamenti venduti dalla Gran Bretagna ad Israele, e l’enorme ed abnorme somma degli aiuti americani dal 1946 ad oggi — una catena di cifre tanto smisurata ed asimmetrica da sfuggire alla comprensione, eppure concreta nelle sue conseguenze di distruzione, di ingiustizia, di prepotenza, di violenza e di morte.
Ma il racconto dei Massive Attack non si ferma alla Palestina. Va oltre, fino ad arrivare alle viscere dell’Africa sfruttata, dove i bambini estraggono, a mani nude, i minerali rari che alimentano le nostre reti, i nostri smartphone, i nostri algoritmi e le nostre intelligenze artificiali. La stessa rete sulla quale circoleranno quelle notizie tossiche, studiate ad arte per indebolire il nostro spirito critico, per distrarci dalle vere emergenze, per fornirci un nemico inesistente, per dividerci e, come la storia insegna, renderci docili, manipolabili, schiavi di un presente addomesticato e senza più memoria.
In questo contesto, Napoli non è solamente una tappa del tour. È una città-isola, un altrove dentro l’Italia, una porta spalancata verso i tanti Sud del mondo. È una terra che parla le stesse lingue antiche e sofferte di Beirut, di Algeri, di Tunisi o di Marsiglia. In una mappa onesta e non disegnata dai vincitori, Gaza potrebbe essere un quartiere di Napoli, stretto tra mare e fuoco, tra invasori e resistenti, tra miseria e bellezza indomabile. Per questo motivo, i Massive Attack qui suonano con una vibrazione diversa, più profonda, come se la musica avesse davvero ritrovato il suo battito originario, primordiale ed ancestrale, quello che accompagna i popoli nella lotta, nel lutto e nella speranza.
Brani come “Safe From Harm”, “Black Milk”, “Angel”, “Girl I Love You”, “Group Four” e l’intensa cover di Tim Buckley, “Song To The Siren”, non sono solamente semplici canzoni, ma sono appelli, ferite aperte, crepe nel muro del sistema di controllo, specchi che ci obbligano a fare i conti con le nostre coscienze sopite, con la complicità delle nostre distrazioni, con un modello di società che sta, letteralmente, crollandoci addosso.
E mentre le ultime note svanivano nella notte partenopea, ci è tornata alla mente una frase di “1984″, il romanzo di George Orwell, che sembra scritta per descrivere proprio la nostra condizione attuale: “Se vuoi un’immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano… per sempre.” Ma finché ci sarà chi, come i Massive Attack, avrà il coraggio di farci guardare in faccia quello stivale, e chi tra noi avrà la forza di raccontarlo, forse non tutto è perduto.
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