Massimo Silverio – Surtùm | Indie For Bunnies
Un disco che è da solo un microcosmo indipendente, un ambiente unico e autosostenuto — proprio come la palude richiamata nel titolo: un luogo nascosto, per certi versi impenetrabile, inaccessibile, apparentemente scomodo, ma pieno di vita, di memorie sepolte, di riflessi incontaminati, di ombre pacifiche. Un luogo in cui la verità non si grida, ma si custodisce silenziosamente, come un fuoco che arde nel cuore della terra.

“Surtùm” è un album onirico e crepuscolare, che è passaggio e casa, ritorno e partenza. È lessico trasformato in rifugio, in lingua sacra, in luogo spirituale dove proteggere la testimonianza delle proprie origini, ma anche finestra aperta sul mondo contemporaneo. Da una terra, quella carnica e friulana, che resta silenziosa e quieta, sospesa tra molteplici culture, memore di crudeltà bellicose e di improvvisi bagliori di amore e fratellanza, di rispetto e comunità.
C’è un respiro antico che attraversa queste canzoni — un respiro che pare provenire dalle poesie di Pierluigi Cappello, dove ogni parola è una pietra bagnata di pioggia, un frammento di carne e terra, un tentativo ostinato di ricordare. Come in Cappello, anche in Massimo Silverio la lingua non è solo strumento, ma materia viva, corpo e suono, radice e vento. È un modo per tornare alla fonte, per dire, ancora una volta, noi siamo qui, in questa lingua fragile e potente che resiste all’oblio.
E torna alla mente anche Pasolini, che nel friulano trovò la sua lingua dell’infanzia e della purezza, quella che nessuno capisce, ma tutti sentono vera. Come Pasolini, Massimo Silverio non usa questa lingua per nostalgia, moda o folklore, ma per un’urgenza etica e poetica: per ritrovare nel canto ciò che l’omologazione cancella, per dare voce alle vene segrete della terra e a chi la abita senza clamore.
Intanto le canzoni seguono il loro passo lento e misterioso, in bilico tra folk avanguardista, cantautorato e post-rock, con un andamento quasi liturgico che si sintonizza con il cuore pulsante della natura, con la sua forza primordiale, con gli spiriti degli alberi e dei fiumi. Le armonie dell’acqua che scorre dal sottosuolo — e che Silverio trasforma in suono — costruiscono il proprio cammino, scavando la roccia, attraversando ogni ostacolo, permettendo alla vita di rinnovarsi, di farsi eterna.
C’è qualcosa di selvatico e sacro nel disco: come i lupi che attraversano i monti senza preoccuparsi delle frontiere, come la luna che illumina le valli senza chiedere permesso. In questa musica non c’è ricerca di identità, ma appartenenza naturale al tutto; non c’è desiderio di dominare, possedere e controllare, ma di riconoscere. È un invito a riabitare il mondo con lentezza e rispetto, a sciogliersi dentro di esso come una goccia nella torbiera, senza più contare i giorni o gli anni, senza più costruire sovrastrutture che separano invece di unire.
“Surtùm” è, allora, un atto di resistenza dolce e radicale: un disco che non chiede di essere capito, ma ascoltato come si ascolta un bosco, o il silenzio dopo una nevicata. Un canto che, come la poesia friulana, sa parlare con la voce degli antenati e con quella delle foreste, ricordandoci che il vero progresso è ricordare da dove veniamo — e imparare, finalmente, a restare.
Source link




