Massimo Pericolo: «La musica è importante, ma non è la soluzione a tutti i problemi»
Per Massimo Pericolo si è trattato di una doppietta. Aveva già pubblicato un Red Bull 64 Bars nel 2022, ma non si era esibito live. Quest’anno ha avuto modo di recuperare portando sul palco sia il primo freestyle sia quello nuovo. Come racconta in uno dei versi, sono passati ormai cinque anni dal suo primo album, Scialla Semper, oggi è un artista più maturo, ma non è mai cambiato fino in fondo. È sempre un ragazzo di provincia, fa arti marziali e pratica la meditazione. L’abbiamo incontrato prima della sua esibizione sul palco di Scampia.
Quanto può essere importante per i giovani di Scampia un evento del genere?
«Penso che sia un inizio, spero si allarghi in tutta Italia e che non sia l’ultimo».
La musica può aiutare in situazioni difficili, quanto è importante e quanto ha aiutato lei?
«La musica può essere un trampolino, però non è la soluzione. Non è abbastanza. È una cosa con cui occupare il tempo quando non è ancora un lavoro. È uno sfogo. A volte il discorso sulla musica oscura le cose importanti, così come fanno tutte le cose belle. È importante ma va ridimensionata».
Sente la responsabilità di raccontare realmente ciò che succede intorno a noi?
«Non l’ho mai sentita, però sicuramente ho voglia di parlare realmente di ciò che vedo e di quello che penso. È una missione».
Il rap viene frainteso?
«Sempre. Ogni volta le persone fraintendono. Ma il nostro è un linguaggio che si ispira al nostro vissuto e viene mal interpretato. Ma non ci penso, mi sono rassegnato all’idea di essere frainteso».
Quanto è cambiato il rapporto tra rap e moda?
«Non è proprio il mio forte. Però credo ci sia sempre stato, essendo la moda un simbolo e il rap un modo per avere una rivalsa».
È appassionato di arti marziali e meditazione, le consiglierebbe ai suoi colleghi?
«Sì. Soprattutto la meditazione. Perché ti consente di fare una pausa e ti aiuta a riposare. La consiglierei ai miei colleghi perché fanno un lavoro molto stressante, un po’ come lo fanno tutti».
La sua generazione può cancellare gli errori di quelle passate?
«Forse sì, ma faremo anche noi i nostri errori e poi ci sarà qualcun altro che ci dovrà pensare. Sicuramente ci proveremo, almeno io ci provo».
In che cosa non si sente cambiato?
«Sono sempre lo stesso. Sono un ragazzo di provincia e credo che questa cosa ti rimanga sempre addosso».
Che rapporto ha con il rap napoletano?
«Il primo disco di Cosang lo ascoltavo tanto, ai tempi c’era poco rap e chi come me era appassionato riconosceva subito se era fatto bene meno. Prendevamo come esempio il rap americano, ma in pochi riuscivano a tradurlo nel modo corretto. I Cosang lo facevano».
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