Marco Cappato: «Il metodo Pannella: metterci il corpo e la faccia, non limitarsi alle idee, ma cercare di realizzarle in pratica»
Marco Cappato ricorda benissimo la prima volta che ha visto Marco Pannella. Ne ricorda i gesti e soprattutto le parole. «L’ho incrociato al congresso del Partito Radicale a Roma nel 1993. L’avevo già conosciuto velocemente a Monza, poi mi sono fatto quattro giorni di dibattito del Partito Radicale transnazionale e transpartito. Ero rimasto veramente impressionato: c’erano personalità militanti di tutto il mondo, si parlava della creazione della corte penale contro i genocidi, dell’abolizione della pena di morte, dell’anti proibizionismo sulle droghe, degli Stati Uniti d’Europa. Quando incrociai Pannella nel corridoio dell’Ergife gli dissi che un po’ mi sentivo destabilizzato da tutte quelle cose così importanti, così interessanti. Ero già instradato sugli studi di economia aziendale alla Bocconi. Pannella mi mandò un bigliettino invitandomi a riflettere su quella che definì la lenta e bella continuità che ci attraversa nella quale nascono le emozioni e le rivoluzioni che viviamo. Questa, e lo cito nello spettacolo, è stata una risposta determinante per me. Non era, come si diceva, Pannella il guru radicale perché il guru è uno che ti convince che la tua vita fino a quel momento è stata inutile, invece lui diceva: “Se tu sei così emozionato da questa scoperta è perché queste cose ce le hai dentro”. La conoscenza è riconoscenza. Questa idea mi ha colpito moltissimo e mi ha dato fiducia nell’impegnarmi come militante del partito».
Basterebbe questo a raccontare il rapporto fra loro e anche il metodo politico che da uno all’altro è passato e che Marco Cappato porta avanti con l’Associazione Luca Coscioni e Eumans. Per una sera soltanto, quella dell’11 novembre, i temi per cui si batte finiscono su un palco quello del TAM Teatro Arcimboldi. Lo spettacolo è DA MARCO A MARCO, scritto dallo stesso Cappato e da Alberto “Bebo” Guidetti e prodotto da Alveare Produzioni, che parla di vita, di morte e della libertà che le attraversa: dall’ONU e al Parlamento Europeo, passando per la Svizzera, i tribunali, carceri e marciapiedi. La disobbedienza civile come forma e sostanza che cambia il mondo un pezzo alla volta. «Mi sono reso conto che persino chi conosce bene me e l’Associazione Luca Coscioni in realtà sa poco di battaglie entusiasmanti e spettacolari su temi, drammi e speranze che appartengono al vissuto di ciascuno. Nel frullatore della comunicazione istantanea restano nascoste, o sepolte, vicende capaci di cambiare il nostro Paese e rischia di andare perduta la memoria della persona Marco Pannella alla quale devo molto di ciò che ho imparato».
Da Marco a Marco si va da Pannella a Cappato o da Cappato a Cappato, sono due storie o la storia di una persona?
«Si va da Pannella a Cappato, ma è anche un omaggio alla memoria da Marco a Marco. C’è la mia storia politica, delle principali azioni in particolare di disobbedienza civile, ma non solo, che mi hanno visto coinvolto, Si parte da dove tutto è nato, dalla conoscenza con Marco Pannella. da quello che spero almeno in parte di aver imparato. E poi dal metodo: metterci il corpo, la faccia, non limitarsi alle idee, ma cercare di realizzarle in pratica. Questa è una storia che parla al futuro dei grandi temi del nostro tempo: dall’intelligenza artificiale alla modificazione genetica, alle sostanze psichedeliche. Proprio quel metodo ci potrebbe aiutare oggi a salvare questa democrazia messa così impopolare, anzi peggio, così irrilevante per la vita delle persone. Io penso che le battaglie di Pannella, prima, ma anche quelle che stiamo facendo adesso con quel metodo possano dare una grossa mano alla democrazia per tornare rilevante».
Ha usato la parola battaglie, parola spesso associata a lei e prima a Marco Pannella: è la parola giusta?
«Evoca un’idea un’idea militare. Si potrebbe più semplicemente parlare di azioni. Quello che è importante, secondo me, è non limitarsi alle posizioni. Ricordo che Pannella se la prendeva con quei partiti che prendevano una posizione su tutto, per poi non fare nulla. Lui lo chiamava il Kamasutra delle posizioni, tutte le posizioni possibili e poi non si faceva niente. Meglio rischiare di lambire il linguaggio bellicista, meglio che impantanarsi nell’inerzia della politica parolaia dove si guarda l’effetto che fa la frase, il marketing elettorale. Il gioco democratico si è ridotto a elezioni e a marketing elettorale. Invece il motto dell’associazione Luca Coscioni è dal corpo delle persone al cuore della politica, cioè una politica fatta di questioni che si vivono attaccate alla carne e alla pelle».
Ha visto cambiamenti, un’evoluzione guardando indietro?
«Vedo di più una lenta continuità. Sono così appassionato perché alcune cose le ho respirato in famiglia, nella mia vita, sono dentro di me alcune passioni. Ho fatto persino il chierichetto in prima media, ma poi sono diventata anticlericale. In fondo però c’era lo stesso tipo di interesse, il non fermarsi alle cose della quotidianità, a cercare di andare oltre. Ecco guardando indietro questo percorso di ormai più di 30 anni lo vedo come un continuo percorso di crescita e ne sono orgoglioso. Ho la sensazione di non avere tirato i remi in barca, di non essermi seduti, di non essere nemmeno passata all’incasso da un certo punto di vista, di avere voluto sempre continuare a provare a mettere in pratica quello che provo dentro.21 anni fa sono stato arrestato a Manchester per la disobbedienza civile sulle droghe,18 anni fa l’arresto al Pride di Mosca, oppure adesso Fabo, i processi per disubbidienza civile sono eventi che hanno un filo comune, un filo conduttore che visto a così tanta distanza e così sul lungo periodo ha senso ancora di più rispetto ai singoli episodi vissuti uno alla volta».
Esisteva un confine fra la vita pubblica e quella privata di Marco Pannella? Esiste nella sua?
«Per Marco non c’era un vero confine. Negli anni che abbiamo vissuto di fatto assieme in queste iniziative per me è stata un’esperienza molto totalizzante, a volte anche forse troppo nel senso che, a volte, quando il carico proprio di lavoro fisicamente diventa eccessivo si rischiano di perdere di vista le ragioni per cui stai facendo quello che stai facendo. Adesso, con una compagna e una bambina di 6 anni, la dimensione, anche personale, della mia vita, ha una parte importante nella mia vita. Credo però che ci sia sempre un dialogo tra i fatti pubblici e i fatti personali: per esempio guardare la città attraverso gli occhi di una bambina, ti dà delle indicazioni su quello che potrebbe essere importante politicamente nella gestione della città che altrimenti non sarei mai riuscito a cogliere. Nella mia vita l’elemento personale è più distinto, ma con un dialogo e con un rapporto».
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