Mani nude: la recensione del film con Gassmann e Francesco Gheghi
«Non so per quale motivo, ma prima di iniziare a girare Mani nude ho sentito il bisogno di rivedere Paris, Texas». Era qualcosa nei colori che attirava il regista e sceneggiatore Mauro Mancini, la luce che colpisce i personaggi del capolavoro di Wim Wenders e che gli vibrava dentro mentre era in preparazione del suo secondo lungometraggio. «Ho capito che volevo anch’io utilizzare una simile palette, così che ciò che vedevamo entrasse in contrasto con la storia». Il racconto vede come protagonista Davide, il giovane talento Francesco Gheghi, vincitore alla Mostra del Cinema di Venezia del 2024 come migliore interprete per Familia nella sezione Orizzonti, ruolo per cui riceverà l’anno successivo anche una candidatura ai David di Donatello.
Il ragazzo viene rapito nel giro di una notte e portato ad allenarsi per diventare carne da macello in un giro di lotte clandestine. Ad addestrarlo è Minuto, l’Alessandro Gassmann che dà nuovamente fiducia a Mancini, tornando a farsi dirigere dopo essere stato il protagonista del suo titolo d’esordio del 2020, Non odiare. Nel mondo in cui i personaggi sopravvivono, dove vince solo chi riesce ad ammazzare il proprio avversario, ognuno di loro intravede nell’altro un briciolo di speranza. Spazzata ogni volta via dai cazzotti e il sangue che scorre durante gli incontri in teatri e sale da bowling, illuminati non solo dai colori del classico del 1984, ma che richiamano alla mente i neon della più recente cinematografia di Nicolas Winding Refn.
Mani nude, dal romanzo alla colonna sonora di Dardust
Violenza e impossibilità di redenzione, seppur quest’ultima ricercata e piccolo barlume in una storia che non scade mai nei sentimentalismi, Mani nude trae dal romanzo omonimo del 2008 di Paola Barbato, vincitore del Premio Scerbanenco e diventato persino fumetto nel 2018. La trasformazione dalla narrativa ai disegni di Armitano Paolo e Furnò Davide, mantenendo sempre il soggetto e la sceneggiatura di Barbato, dimostrava già il potenziale visivo della trama, il cui passo successivo non poteva che essere il grande schermo. Come il destino dei protagonisti, segnato e inevitabile, da cui né Davide né Minuto possono scappare, pur tentandoci con tutte le proprie forze. Perché la sorte fa un’altra strada se non riesce a raggiungerci, trovando modi bizzarri per acciuffarci e portando sempre a compimento il proprio compito.
Una circolarità che Mani nude contiene nel proprio racconto e che Mancini ha steso insieme al collaboratore Davide Lisino nella scrittura per rendere fluida e coinvolgente la narrazione. La cui brutalità e il continuo stridio tra il desiderio (il voler uscire dalla propria condizione) e l’obbligo (il dover restare rinchiusi nella propria crudele realtà) prendono vita anche tramite il compartimento sonoro del film, la cui colonna sonora è stata realizzata dal produttore e musicista Dardust. «Ne sono orgoglioso», afferma il regista. «A quanto pare aveva avuto altre richieste per il cinema nel corso degli anni e aveva sempre risposto di no. Non è scontato avere un autore così importante che si presta ad offrire la propria opera. È una parte di cui sono fiero, come il lavoro di cesello fatto sul suono, per me da sempre la parte fondamentale del cinema». E il cui tormento, ma altresì l’intensità di Mani nude, è attraversato dalle note che sottolineano e si incastrano alla crudezza della violenza esposta e rimangono in allerta anche se ammorbidite nei pochi attimi in cui Davide e Minuto pensano – o meglio, sperano – di aver trovato salvezza.
L’allenamento di Alessandro Gassmann e Francesco Gheghi
Ed è proprio sulla parola violenza che Mauro Mancini tiene a precisare: «Il nostro non è un film violento, bensì ricerca la provenienza della violenza. Sono interessato alla disumanizzazione dei personaggi. È un percorso che ho aperto con Non odiare e intendo continuare». Se la disumanizzazione passa per l’animo dei protagonisti, il loro fisico in Mani nude è reso centrale per restituire la veemenza e il dolore dei colpi subiti e inflitti da Davide e il maestro Minuto. Gheghi ha assunto dieci chili durante la preparazione per il film, seguito come Gassmann da nutrizionisti e preparatori atletici per tenere sotto controllo i cambiamenti che i loro corpi avrebbero dovuto affrontate. Tre mesi di allenamento, un lavoro con gli stunt coordinator e una disciplina ferrea per portare a casa il risultato. «Mani Nude è stata di gran lunga l’esperienza più tosta che ho affrontato», spiega Francesco Gheghi. «Venivo da trentadue repliche al Piccolo di Milano per il Romeo e Giulietta diretto da Mario Martone. Non pensavo sarei uscito nuovamente così presto dalla mia zona di confort, invece è arrivato il film di Mancini, che mi ha dato la possibilità di mettere un punto nel mio lavoro, cambiando la maniera in cui lo guardo».
Un ritorno per la coppia Gheghi-Gassmann a distanza di sei anni da quando interpretavano padre e figlio nella commedia Mio fratello rincorre i dinosauri del 2019. Con la completa assenza da parte del divo italiano, stavolta, di qualsiasi tipo di empatia: «Annullarla dalla mia persona la trovo una cosa difficile», spiega Alessandro Gassmann. «Sono un chiacchierone, sono espressivo, elementi che spesso mi hanno chiesto di usare nella commedia. Invece Mauro, sia in Non odiare che in Mani nude, voleva che togliessi tutto. L’unica cosa che ho aggiunto è la massa, pesavo quasi cento chili, e mi rendevo conto che grazie anche solo al collo più largo e alla totale assenza di espressione le persone si allontanavano perché incutevo timore. L’animale a cui ho pensato spesso mentre interpretavo Minuto è lo squalo: mangia, dorme, nuota sempre con lo stesso identico sguardo vitreo».
Tra fame e sopravvivenza
Famelici e spaventati, animaleschi ma pur sempre umani, i personaggi di Mani nude offrono un cinema scollegato dalle convenzioni del nostro panorama per un’opera curata per filo e per segno, pur quando nella sua seconda parte perde leggermente la direzione della propria bussola. È infatti quando il film rimane affilato e impetuoso che riesce ad affondare meglio nello spettatore. A colpirlo con i pugni pieni di rabbia e fame di sopravvivenza di Davide.
Un’opera, divisa nelle location tra la Calabria e la Bulgaria, che si svincola dal solito dramma e innesta il genere per creare qualcosa di inedito. Un cinema spettacolare e insieme intimo, vorace pur nella sua ricerca di pace. Una chimera inseguita dai protagonisti quanto dal pubblico, i quali rimarranno entrambi segnati da un indelebile finale.
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