MAGA difende Trump sull’attacco all’Iran: “Non tradisce America First” | Il Fatto
La parola d’ordine è: riallinearsi. Di fronte all’attacco statunitense all’Iran, gli esponenti di punta del MAGA si riposizionano a fianco di Donald Trump. Il movimento si è sempre battuto per l’America First, per il disimpegno dell’America dal mondo, per la fine della strategia che vedeva gli Usa come garante degli equilibri internazionali. Con il bombardamento dei siti nucleari di Teheran, Trump disattende queste posizioni. Le reazioni variano: si va dall’aperta delusione alla speranza che l’operazione militare si fermi qui al sostegno alla guerra del presidente. L’atteggiamento prevalente è proprio questo: il sostegno a Trump, il cui carisma resta per ora inscalfibile tra i conservatori Usa. L’opposizione alle bombe su Teheran resta quindi, in queste ore, appannaggio di molti democratici, che denunciano come illegale la scelta della guerra senza passare per il Congresso.
“L’Iran non ha dato scelta al presidente Trump”, ha scritto su X Charlie Kirk, podcaster e attivista conservatore, uno dei critici più decisi, da destra, delle politiche neocon dei repubblicani. “Per un decennio, Trump è stato chiarissimo sul fatto che l’Iran non dovrà mai avere armi nucleari. L’Iran ha deciso di rinunciare alla diplomazia e di inseguire la bomba. Questo è un attacco chirurgico, attuato alla perfezione. Il presidente Trump ha agito con prudenza e decisione”. Molti degli esponenti del MAGA insistono proprio su questo: i limiti dell’operazione militare, il carattere decisamente “chirurgico” dell’intervento che mai e poi mai si allargherà a un conflitto come quello iracheno, che non assomiglia in nulla a una di quelle “guerre infinite” in cui i neocon hanno gettato, in modo scriteriato, l’America.
“Trump vuole che la sua operazione sostanzialmente sia simile a quella di Soleimani”, scrive sempre su X Matt Gaetz, ex deputato della Florida, l’uomo che il presidente aveva scelto come attorney general e che poi ha dovuto ritirarsi travolto da uno scandalo sessuale. Il riferimento al generale iraniano Qasem Soleimani serve a rappresentare l’attacco ai siti nucleari iraniani come “un colpo e via”. “Nessuna guerra per cambiare il regime. Trump è il pacificatore!”, aggiunge Gaetz. Sulla stessa linea un altro alfiere del conservatorismo in versione MAGA, il commentatore (e spesso sostenitore di posizioni cospiratorie e di suprematismo bianco) Jack Posobiec che scrive: “Il presidente Trump ha chiaramente segnalato, come ha sempre fatto, la sua opposizione a una guerra per un cambio di regime in Iran. Il suo obiettivo è il programma nucleare iraniano che lui ha promesso di far finire fin dal primo giorno”. Posobiec, peraltro, è colui che solo qualche giorno fa affermava che andare in guerra con Israele avrebbe “disastrosamente diviso” i conservatori.
Si cerca quindi di far buon viso a cattiva sorte. Si mettono da parte dubbi e passate passioni anti-interventiste per non nuocere al presidente. Alla fine, verrebbe da dire, ha avuto ragione Steve Bannon, una delle voci più famose e controverse del trumpismo, che pochi giorni fa, a un evento organizzato da The Christian Science Monitor, diceva: “Non ci piace. Di più, odiamo l’idea della guerra. Ma, alla fine, saliremo a bordo anche noi”. È comunque indubbio che l’intervento in Iran destabilizza una parte di quel mondo che ha creduto all’America First. Nella notte, dopo l’annuncio dell’intervento militare contro Fordow, Natanz, Isfahan, uno dei trend su X – su cui dibatteva e si accalorava il popolo trumpiano – era “WWIII”, quindi la possibilità della Terza Guerra mondiale. Truth Social, la piattaforma di Trump, era così frequentata da sperimentare diverse interruzioni al servizio. E Marjorie Taylor Greene, deputata della Georgia, una tra le più scatenate e incontrollabili voci del trumpismo, esprimeva la sua opposizione alla guerra, dicendo che “America First è ciò per cui milioni di americani hanno votato”, alludendo a uno dei timori che in questo momento attanagliano la stessa comunità dell’intelligence Usa: “Preghiamo di non essere attaccati dai terroristi”.
Non è ancora, ovviamente, guerra civile tra i conservatori del MAGA. Non è una vera messa in discussione delle scelte del presidente, che per il suo popolo resta una sorta di re taumaturgo, l’uomo in grado di risolvere ogni cosa grazie a virtù politiche e infallibile istinto. È però certo che in queste ore emerge una forte inquietudine in settori importanti dei conservatori, una sensazione di disagio nel giustificare la scelta che disattende quello che Trump ha professato per anni. Si assiste alla stessa attitudine a rientrare – faticosamente – nei ranghi tra quei deputati e senatori del G.O.P che nei giorni scorsi hanno espresso dubbi sull’attacco e che ora preferiscono mettere da parte possibili obiezioni. Tra questi c’è il senatore del Montana, Tim Sheehy, che solo due giorni fa aveva detto “le guerre sono caotiche. Sono lunghe e poco chiare. Raramente una singola azione può decretare la fine di un conflitto”. Ora invece spiega: “Ai detrattori là fuori, questo non è l’inizio di una guerra, è la fine di una. L’Iran è in guerra con l’America da 46 anni. Il popolo iraniano dovrebbe sollevarsi e porre fine al regime omicida”.
Con la leadership repubblicana allineata senza se e senza ma con il presidente – le bombe sono state “il giusto segnale” e “il regime iraniano se lo merita”, afferma Lindsay Graham, tradizionalmente uno dei più decisi “falchi” repubblicani – tocca dunque ai democratici esprimere dubbi e critiche nei confronti dell’operazione militare. Gran parte degli attacchi si concentra sulla illegalità dell’azione di Trump che non è passato per il Congresso come richiesto dalla War Powers Resolution, passata nel 1973, ai tempi della guerra in Vietnam, per subordinare i poteri di guerra dei presidenti all’autorizzazione parlamentare. Il fatto è che, dopo gli attacchi dell’11 settembre, proprio il Congresso ha approvato l’Authorisation for Use of Military Force, un complesso di leggi che dà ai presidenti la capacità di agire militarmente e senza il via libera di senatori e deputati. È quelle leggi che tutti i presidenti Usa hanno invocato nelle azioni militari di questi anni. Ed è a quelle leggi che Trump e i suoi si aggrappano oggi per sostenere la legittimità dell’azione militare contro l’Iran. Sono posizioni che non convincono molti democratici. Il senatore Christopher Van Hollen afferma che “gli atti di Trump sono una chiara violazione della nostra Costituzione, in quanto ignorano la regola secondo cui solo il Congresso ha l’autorità di dichiarare la guerra”. Alexandria Ocasio-Cortez, deputata di New York, chiede l’impeachment di Trump, mentre c’è chi, come il senator del Rhode Island Jack Reed, esprime in modo chiaro il timore di molti a Washington, quello di una nuova “guerra infinita”. “È più facile iniziare una guerra, che farla finire”, dice Reed.
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