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Mac DeMarco – Guitar: Vulnerabile solitudine :: Le Recensioni di OndaRock

Mac DeMarco è la perfetta incarnazione di quella svogliatezza creativa che, sotto il nome di lo-fi, ha tenuto testa alla messe di critici in cerca della pietra filosofale della musica post-post-rock. Non sorprende, dunque, che “Guitar” segua le orme del pigro e indolente “Five Easy Hot Dogs”, con un leggero cambio prospettico (ritornare a uno stile cantautorale essenziale), che nulla aggiunge a quanto seminato dall’artista nella sua fortunata carriera.

E’ innegabile che nessuno come Mac DeMarco sia riuscito nel non facile compito di elevare l’arma del disincanto e dell’umorismo a forma d’arte, quella che fa capolino con forza nella splendida e dissonante ballata lievemente bluesy  “Rock’n’Roll”, dove riecheggia l’influenza di John Lennon, inoltre il musicista canadese possiede il raro dono di donare profondità sia a una riflessione filosofica che a una banale storia di sentimenti quotidiani: la malinconica “Home” è nient’altro che pura poesia.
Due sono le questioni che “Guitar” lascia comunque irrisolte: la prima riguarda le voci su un possibile ritiro temporaneo dalle scene, smentito dalla pubblicazione di questo nuovo disco, mentre la seconda è collegata alla passione di DeMarco per gli Steely Dan, un legame che resiste nella struttura delle composizioni ma che tarda a trovare una soluzione anche negli arrangiamenti. Ed è forse questo il vero dilemma di “Guitar”: per quanto apprezzabili e a volte geniali (la raffinata “Punishment” e la deliziosa saudade di “Knockin”), le canzoni restano irrisolte e sospese nel limbo dorato di uno stile lo-fi che sembra stare ormai stretto alle composizioni del musicista, che appare svogliato anche dal punto di vista puramente interpretativo e vocale.

Ovviamente il minimalismo espressivo di Mac DeMarco (sottolineato anche nella scelta dei titoli, formati tutti da una sola parola) non ha nulla in comune con quella stirpe di autori che si rifugiano dietro poche note per mascherare crisi creative; molti songwriter sarebbero infatti fieri di avere una dark ballad come “Holy” nel proprio repertorio, però a furia di indugiare in un’estetica sfilacciata e solo apparentemente svogliata, l’artista corre il rischio di restare schiavo di una smania di giovanilismo che ne opprime il non comune talento.
Certo, i segnali che DeMarco invia da alcuni anni a questa parte sono contraddittori se non proprio destabilizzanti (i quasi 200 strumentali di “One Way G” e lo sbiadito “Five Easy Hot Dogs”), ma per quanto non mi senta di consigliare questo disco a chi non sia già un suo fan devoto, resto ottimista su una possibile e inattesa svolta verso nuovi progetti ben più solidi e innovativi.

04/09/2025




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