Società

Luis Enrique e quella Champions vinta dieci anni fa con la piccola Xana che festeggiava in campo

Luis Enrique è un uomo che ha attraversato il dolore più indicibile. Nel 2019 ha perso la figlia di nove anni, Xana, per un tumore alle ossa. C’è una foto che li ritrae insieme, un’immagine che ha fatto il giro del mondo. Risale al 2015, per Luis Enrique e Xana è una notte felice. All’Olympiastadion di Berlino il Barcellona ha appena vinto la Champions League, battendo in finale la Juventus. La piccola Xana regge una bandiera catalana e prova a sventolarla, sotto gli occhi divertiti del padre. Succedeva dieci anni fa. Sabato 31 maggio, dieci anni dopo, Luis Enrique ha portato un’altra squadra, il Paris Saint-Germain, in finale di Champions. Lo spagnolo, ancora una volta in Germania, ma stavolta alla Bayern Arena di Monaco di Baviera, proverà a conquistare per la seconda volta da allenatore la coppa più prestigiosa. L’avversaria è l’Inter di Simone Inzaghi.

In tutti questi anni Luis Enrique ha parlato di Xana, come di «una stella che illumina la nostra famiglia», si è detto «un padre fortunato perché ho avuto per nove anni una figlia splendida». Lucho, come lo chiamavano a Roma, nel suo anno sulla panchina giallorossa (2011-12), è un uomo retto, un «hombre vertical» che non è mai sceso a compromessi e che sa essere duro, con i suoi calciatori e con i giornalisti. Chiedere per informazioni a De Rossi, mandato in tribuna perché arrivato con un minuto di ritardo ad una riunione tecnica. Lo stesso Totti, nella sua autobiografia, racconta che nel momento del congedo dello spagnolo ha provato «un dolore lancinante, perché di fronte avevo una persona vera». O chiedere ai cronisti spagnoli al seguito della Nazionale, con cui Luis Enrique ha avuto confronti durissimi. Però De Rossi lo adora. E lo ha indicato come uno degli allenatori che più sono stati decisivi nella sua carriera in panchina. Però in Spagna – al netto degli scontri verbali – la stima nell’uomo e nell’allenatore non è mai mancata. Anche quando ha perso: esemplare il suo fair play quando, dopo la semifinale dell’Europeo 2021 persa con l’Italia, andò a complimentarsi con il collega Mancini e tutti gli azzurri.

Sposato con Elena Cullel, laureata in Economia, oltre a Xana altri due figli più grandi, Pacho e Sira, Barcellona come luogo del cuore. Nella sua routine quotidiana grande rilevanza hanno il rigore e la disciplina, che Luis Enrique impone prima di tutto a se stesso. Ogni mezz’ora, qualunque cosa stia facendo, in campo o a casa, lo spagnolo esegue una serie di esercizi fisici. Una mini-sessione di allenamento di pochi minuti che gli danno benessere. Ha un sistema di valori rigoroso, che mette in circolo negli spogliatoi, nei gruppi di lavoro, nelle squadre che allena. È un leader che si è fatto apprezzare da Messi – allenato al Barcellona – e dalle decine di calciatori che ha accompagnato nel suo percorso.

A cinquantacinque anni – li ha compiuti l’8 maggio – Luis Enrique è un uomo che offre il profilo al vento. Le sue rughe marcate su un viso oblungo, i suoi sguardi che custodiscono la traccia di un dolore che non se ne andrà mai via, la sua posa, che può essere spigolosa o carezzevole, ma sempre risulta vera, mai ruffiana e mai piaciona. Negli anni 90 è stato un calciatore di successo, uno dei migliori spagnoli di sempre – il grande Pelé lo inserì nella lista dei 125 più forti di tutti i tempi – e ora si sta confermando un allenatore di eccellenza. Ma la sua differenza va riscontrata altrove. Perché Luis Enrique ha fatto dell’etica la sua cifra esistenziale. Vincere o perdere dipende da un colpo di vento, la vita si misura nella traccia che lasciamo nel cuore e negli sguardi degli altri.


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »