Lotta al ‘pezzotto’, maxi operazione in Puglia: sequestri e denunce
La lotta al cosiddetto ‘pezzotto’ portata avanti ormai da tempo dalla Guardia di Finanza su tutto il territorio nazionale ha permesso di individuare in Puglia una vera e propria centrale di smistamento del segnale IPTV illegalmente riprodotto in favore di oltre 2.300 utenti – abbonati al ‘pezzotto’, appunto – che in varie parti d’Italia usufruivano di tutti i contenuti a pagamento messi sul mercato dalle più note piattaforme di pay-tv (Sky, Mediaset Premium, Netflix e Dazn) a non più di una decina di euro al mese.
La centrale operativa è stata individuata a Lecce, con i finanzieri che hanno ricostruito il valore dei proventi illecitamente accumulati in oltre 500mila euro, in seguito reinvestiti nell’acquisto di beni mobili e immobili al fine di occultarne l’illecita provenienza. Per questo è staccato il sequestro preventivo per 5 beni immobili, 2 autovetture (di cui una d’epoca) e circa 60mila in denaro contante riconducibili al principale indagato, il quale insieme ad altre tre persone “tutte concorrenti nel reato e residenti nella provincia salentina – spiegano le Fiamme Gialle – sono state denunciate per le ipotesi di reato in violazione della specifica normativa sulla protezione del diritto di autore nonché per autoriciclaggio”.
“Più nel dettaglio 2.342 soggetti, residenti in 81 province del territorio nazionale, sono stati oggetto di un verbale di accertamento e contestazione delle prescritte violazioni amministrative, anche nella forma più grave della reiterazione – proseguono dalla Guardia di Finanza -. Nel caso di specie si è arrivati all’individuazione degli utenti finali attraverso l’utilizzo di tutte quelle informazioni acquisite (non solo di carattere tecnico) dal procedimento penale, il cui utilizzo, per le finalità “amministrative”, è stato autorizzato dalla Procura della Repubblica di Lecce”.
“Le informazioni rese così disponibili (incluse quelle bancarie e delle carte pre-pagate) hanno consentito l’esatta individuazione di tutti i fruitori in capo a coloro che, mese per mese, inviavano il pagamento per “abbonarsi” alla piattaforma abusiva – concludono i finanzieri -. Infatti, a causa dell’imponente giro d’affari illecito, gli utenti finali pagavano il corrispettivo pattuito attraverso ricariche di diverse tipologie (ad esempio postepay, paypal, revolut, N26) su carte o sistemi di pagamento riconducibili agli utilizzatori delle citate piattaforme”.