Los Thuthanaka – Los Thuthanaka: La world music formato Pitchfork :: Le Recensioni di OndaRock
Los Thuthanaka sono un duo statunitense formato dai fratelli Elysia e Joshua Crampton, di origini per metà irlandesi e per metà aymara (popolo indigeno boliviano), ma nati e cresciuti in California e pienamente inseriti in quel contesto. La prima è un nome celebrato della musica elettronica e dei collage sonori d’avanguardia sin dal 2008, il secondo è sulla scena dallo stesso periodo, ma preferisce la chitarra, pur utilizzandola con indole rumoristica e sperimentale.
Questo loro progetto condiviso è stato celebrato da Pitchfork come album dell’anno.
Il disco contiene un misto di avant-rock, frammenti di suoni campionati, coltri di rumore bianco e ripescaggi dalla musica folk andina, boliviana in particolare. I brani si sviluppano tutti allo stesso modo, sfruttando ritmi ipnotici sopra ai quali si accumulano paesaggi via via più caotici. Nulla che non si sia sentito innumerevoli volte fra le frange più estreme della musica rock nel corso dei decenni: questa volta una parte delle fonti è piuttosto specifica (la musica dal popolo aymara, per l’appunto), ma il meccanismo alla base è lo stesso di sempre.
Non ci sarebbe molto altro da dire se per l’appunto il disco non fosse stato celebrato come un evento, e qui l’ingranaggio inizia a scricchiolare: l’opera è infatti indicata come manifesto anticoloniale da Pitchfork e lodata per il ripescaggio di musiche tradizionali boliviane come huayño, caporal e kullawada, e motivazioni simili hanno dato Stereogum e The Quietus.
È purtroppo difficile non notare che l’esaltazione sia capeggiata da testate statunitensi o britanniche: a pretendere che sia un’opera simbolo della decolonizzazione è insomma la critica anglofona, parte dell’apparato colonizzante, nel più tipico esempio di colonialismo epistemico.
Non meno curiose sono le lodi per i ripescaggi della cultura indigena boliviana: quando prima di ora le testate in questione avevano celebrato i ritmi di huayño, caporal e kullawada? E come mai ora sentono il bisogno di farlo? Il sospetto è che, se l’album fosse stato prodotto da un duo boliviano operante in Bolivia, molto probabilmente avremmo dovuto aspettare ancora un bel po’ per sentir parlare di huayño, caporal e kullawada. La riprova? Prima di questo disco alle testate di cui sopra era importato ben poco degli stili in questione e della loro lunghissima e stratificata storia.
Se la musica boliviana diventa rilevante solo quando viene suonata negli Stati Uniti da statunitensi, è evidente che da qualche parte ci sia un problema: di cui i fratelli Crampton sono incolpevoli, sia chiaro, ma pur non rappresentandone la causa, ne rappresentano senz’altro un sintomo. Questo al di là del contenuto in sé, che qualche spunto ci prova pure a fornirlo, benché come già detto risulti piuttosto canonico all’interno del proprio sottobosco culturale.
14/12/2025




