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L’occasione per gli arabi moderati

Premessa: Benjamin Netanyhau negli ultimi mesi ha commesso diversi errori in quel buco nero che per Israele è diventato il dramma di Gaza. Partito con l’obiettivo assolutamente giusto e condivisibile di eliminare un’organizzazione di assassini che va sotto il nome di Hamas, il leader del governo di Gerusalemme è stato risucchiato in una spirale che ha trasformato il conflitto in una carneficina di civili palestinesi, uccisi o ridotti alla fame, che ha diviso e il suo Paese e ha offuscato – non poteva essere altrimenti – l’immagine di Israele prima nelle opinioni pubbliche e poi nei governi delle democrazie occidentali.

Ora il primo ministro israeliano ha deciso di occupare Gaza City per stanare ciò che è rimasto di Hamas. Una scelta criticata da tutti: dal capo dello stato maggiore dell’Idf Eyal Zamir che ne intravvede i rischi sul piano militare; dalle famiglie degli ostaggi che la considerano una sorta di condanna a morte per i loro cari; dal governo inglese, tedesco, francese, spagnolo, belga e dalla Commissione europea; e ancora dall’Onu, dalla Turchia, dall’Egitto, dall’Arabia Saudita e dall’Autorità palestinese. Infine gli Stati Uniti hanno detto no all’annessione di Gaza, ma sì alle manovre militari di Israele nella Striscia.

Tutte critiche e riserve corrette, per alcuni versi sacrosante, che, però, non risolvono un rebus: come può Israele uscire dal buco nero di Gaza, come lo definisce lo stesso Zamir? Si può andare avanti con questo tiro al piccione contro i civili palestinesi nella striscia che ha deturpato l’immagine di Gerusalemme a livello globale e che ha indotto addirittura intellettuali ebrei ad usare il termine genocidio, oppure vale la pena dar seguito ad una mossa disperata come l’occupazione di Gaza? Otto giorni fa, in un tweet, scrissi che “paradossalmente” un’occupazione temporanea di Gaza con il passaggio poi di quel territorio ad un contingente internazionale, magari arabo, nella situazione assurda in cui si è ficcata Israele sarebbe stata un’opzione preferibile ad uno stillicidio senza fine. Si tratta di una scelta rischiosa e che proprio per questo deve essere consapevole e chiara. Consapevole: nel fatto che potrebbe indurre Hamas a cedere, ma non è detto che non si trasformi nello stesso tempo in una sentenza capitale per gli ostaggi israeliani in suo possesso. Chiara: perché non può preludere ad un’annessione di Gaza o dei territori della Striscia, per cui presuppone che nel giro di qualche mese l’autorità su quei territori sia affidata non certo all’Autorità palestinese che non ne ha la forza, ma ad un contingente di paesi arabi moderati. Questa è una condizione pregiudiziale e categorica. Se ha una logica la strategia di Netanyhau è proprio quella di mettere a confronto la parte del mondo arabo moderata con quella fondamentalista a cui si ispira Hamas: è un modo per costringere la nazione araba, come una volta era definita, a guardarsi allo specchio. Un’ipotesi tutta da verificare ma che è certamente l’unica che potrebbe evitare ad Israele di precipitare nel buco nero. Del resto quali altre alternative ha Netanyhau sul tavolo? Ritirarsi ora significa lasciare alle sue spalle un camposanto di rancori e di desideri di vendetta che ridarebbero nuova linfa ad Hamas. Annettersi Gaza come desidera l’estrema destra dei coloni vuol dire prepararsi ad un teatro di terrorismo e di guerra permanente come nell’Iraq del dopo Saddam. L’unica scelta razionale è quella di ridare Gaza agli arabi, favorire la nascita di “un protagonismo arabo” – per usare un’espressione usata in passato da Matteo Renzi – che faccia leva sulla potenza economica dell’Arabia Saudita (il “rinascimento saudita” per la ricostruzione) e su quella militare di Egitto, Giordania e, magari, Turchia per far crescere finalmente nella Striscia quella parte della società palestinese che ripudia e vuole emanciparsi da Hamas.

Del resto, per chi lo avesse dimenticato, nell’ultimo documento della Lega Araba del 30 luglio scorso c’è la condanna senza appello dell’attacco del 7 ottobre, viene chiesto il disarmo di Hamas e la liberazione degli ostaggi e la soluzione dei due Stati, quello di Palestina e di Israele. Non a caso Hamas ha messo le mani avanti e avvertito che non farà differenze davanti a una forza di occupazione, israeliana o araba.


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