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ll premio Nobel Orlov: “Cedere adesso a Putin aiuta solo gli estremisti del regime russo”


ll premio Nobel Orlov: "Cedere adesso a Putin aiuta solo gli estremisti del regime russo"

«Nel pensiero di Putin è completamente assente ogni idea di futuro. Quando deve spiegare come sarà la Russia dice che sarà grande come nel passato, lo sguardo è sempre rivolto all’indietro. La storia era una scienza, con lui è diventata ideologia: ragiona in termini di impero, militarismo e di glorie trascorse».

Oleg Orlov, 72 anni, co-presidente di Memorial, l’associazione nata per fare luce sui crimini dello stalinismo, premio Nobel per la Pace nel 2022, non ha perso i toni dello studioso. Fu arrestato a Mosca nel febbraio dell’anno scorso per oltraggio alle Forze armate: si era semplicemente dichiarato contro la guerra in Ucraina. Dopo sei mesi di colonia penale, è stato liberato in agosto, nel più grande scambio di prigionieri (spie contro dissidenti) dai tempi della guerra fredda.

Negli anni Ottanta, giovane biologo all’Istituto di Fisiologia Vegetale dell’Accademia delle Scienze, distribuiva volantini contro il comunismo e la guerra in Afghanistan; da allora non ha mai smesso di occuparsi di diritti umani. Oggi vive in esilio a Berlino e in questi giorni è in Italia. «La verità è che ho molta voglia di tornare a casa, in Russia e spero prima o poi di riuscirci. Mi aiuta molto lavorare con colleghi e amici che in Russia sono rimasti. Mi do da fare soprattutto per chi è in carcere. Penso per esempio a un mio compagno di cella, condannato per estremismo solo perché aveva protestato contro l’incriminazione di Navalny. Deve scontare sette anni, io sono qui e lui in galera».

Come valuta la situazione del regime di Mosca?

«Per Putin è comparsa qualche minaccia all’orizzonte. Le sanzioni iniziano a farsi sentire; l’inutile guerra ha sfiancato la maggioranza della popolazione, che non ne può più; gli obiettivi che erano stati dichiarati così trionfalmente all’inizio dell’attacco non sono stati raggiunti. Per questo tra i suoi sostenitori c’è stata una spaccatura. La minoranza continua e continuerà fino alla fine a volere la continuazione della guerra. È stato questo gruppo a protestare quando sono iniziate le trattative con Trump. Ma anche all’interno del regime sono in tanti a dire basta».

Che tipo di scenari vede per il prossimo futuro?

«Il peggiore è quello di un accordo sotto banco tra l’élite di Putin e quella di Trump. Alla classe dirigente europea, anch’essa stanca di questa guerra, potrebbe fare comodo un’intesa per tornare a fare affari. Un altro scenario tragico è l’inizio di una tregua che venga scambiata dalle élite europee come una pace definitiva. Via le sanzioni, dimenticato qualsiasi atto criminale, tutto torna come prima».

Perché lo definisce «scenario tragico»?

«Perché porterebbe a un rafforzamento di quello che io chiamo Putin dopo Putin, dopo l’attuale inquilino del Cremlino arriverebbero al potere i peggiori reazionari del regime. Non sarebbe un male solo per la Russia o per l’Ucraina ma anche per Europa e il mondo intero. Diventerebbe un precedente pericoloso. Se alla Russia viene permesso di entrare in casa d’altri, perché non potremmo farlo anche noi, penseranno gli altri dittatori in mezzo mondo. La guerra non finirebbe, magari potrebbe interrompersi in alcuni momenti, per poi riprendere. A chi sostiene la necessità di abolire le sanzioni faccio una domanda: quale confine ponete? Fino a dove lascerete spingersi Putin? A conquistare tutta l’Ucraina, la Moldavia? I Paesi Baltici, magari la Germania?».

E dei tentativi di pace di Trump cosa pensa?

«Penso che in primo luogo Trump pensa a Trump, piuttosto che a quello che accade dalle parti di Kiev. Non è un suo interesse reale, l’importante è apparire il meglio possibile, come un protagonista della politica mondiale. Penso anche che nel suo profondo è imperialista tanto quanto Putin e, probabilmente, quando lo osserva, anche senza volerlo, prova una simpatia e una affinità istintiva: Putin fa quello che vorrebbe fare lui».

Lo scenario migliore, quale sarebbe?

«Naturalmente quello della pace, ma la pressione internazionale dovrebbe continuare, così come le sanzioni, i crimini dovrebbero essere puniti, l’Ucraina difesa. E dopo la fine di Putin gli eredi del suo regime sarebbero costretti a far uscire la Russia dall’isolamento. In questo modo si potrebbero avere riforme e trattative con la società civile che vuole tornare su un cammino democratico che oggi è solo un ricordo».

La società civile russa però in questo momento appare silenziosa, perfino connivente…

«Ma io parlo ogni giorno con esponenti della società civile: chi è rimasto in Russia continua a organizzarsi. Certo non possiamo dimenticare che oggi la società civile non può più intervenire pubblicamente in nessun modo e deve agire in uno stato di totale clandestinità. Per una parola si finisce in galera. C’è una dottoressa, una pediatra, Nadezhda Buyanova, che oggi è in carcere, condannata a cinque anni e mezzo, per una frase: i soldati russi sono un obiettivo legittimo per l’esercito ucraino».

Lei domani sarà a Roma in Parlamento. Quale messaggio porterà?

«Per prima cosa continuate a sostenere l’Ucraina. È importante per l’interesse dell’Ucraina stessa, della Russia e di tutta l’Europa.

Poi fate di tutto per liberare i prigionieri di questa guerra: i civili ucraini deportati in Russia e fatti sparire dai territori occupati, i prigionieri politici russi che hanno detto no al conflitto. Anche loro sono vittime».


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