Ambiente

L’Italia e il calo demografico: gli immigrati come portatori di valori e cultura

Negli articoli precedenti si è visto come l’Italia, avendo un tasso di occupazione assai basso, potrebbe affrontare il calo demografico previsto per i prossimi decenni sia con nuovi afflussi di migranti che integrando nel mercato del lavoro i tanti italiani e stranieri che oggi ne sono fuori o ai margini. Stime ragionevoli del potenziale di crescita dell’economia italiana rendono però implausibile che nei prossimi anni sia possibile creare il numero di posti di lavoro decentemente pagati che è necessario per alzare rapidamente il tasso di occupazione e allo stesso tempo integrare numeri rilevanti di nuovi migranti.

L’evidenza internazionale suggerisce che l’accesso degli immigrati ad occupazioni che danno un reddito relativamente stabile e di livello decente è condizione necessaria, seppure non sufficiente, per qualsiasi percorso d’integrazione. Tale condizione tende a venir meno quando la grande maggioranza degli immigrati che lavorano è occupata nei segmenti informali del mercato del lavoro, come accade in Italia. Ci sono quindi buone ragioni per dare la priorità a politiche inclusive volte a integrare gli italiani e gli immigrati di prima e seconda generazione che in Italia già ci sono, ma che non lavorano o sono segregati in occupazioni mal pagate e precarie, piuttosto che puntare su significativi afflussi di nuovi migranti.

Saggezza e buon senso vorrebbero poi che nel valutare l’opportunità di aprire a immigrati che sempre meno proverranno da culture limitrofe alla nostra, quali quelle dell’Est Europa, e sempre più da altri continenti, si tenga ben presente che gli immigrati prima che forza lavoro sono delle persone portatrici di valori e cultura, che non necessariamente coincidono con quelli di una società aperta basata sull’uguaglianza di diritti e doveri tra uomini e donne, la tolleranza e la tutela delle libertà individuali. Le tensioni che affiorano in altri paesi che ospitano ampie comunità di immigrati sembrano confermarlo. A questo riguardo, dagli studi di economia della cultura si evince come valori, codici morali e norme sociali, in particolare quelli che regolano i ruoli di genere, la sessualità, il lavoro delle donne fuori casa e la fecondità, si differenziano in base al paese di origine degli immigrati (i tassi di inattività delle donne straniere in Italia, ad esempio, variano da più dell’80% per quelle provenienti da Bangladesh, Egitto e Pakistan al 20/30% delle sudamericane). Ancora più significativo è che valori e norme sociali tendono a persistere nel tempo, trasmettendosi – seppure attenuati – da una generazione all’altra. In questo contesto, i numeri contano: gli studi di dinamica della massa critica mostrano che quando una minoranza fortemente motivata, portatrice di credenze, codici morali o identità religiose differenti da quelle più diffuse all’interno di una popolazione, supera una certa soglia numerica (ad esempio a seguito di flussi migratori), può innescarsi un processo che in breve porta a sostituire i vecchi sistemi valoriali e normativi con quelli di questa minoranza.

L’immigrazione di massa determina a lungo termine degli effetti irreversibili nelle società di accoglienza che dovrebbero indurre a una certa cautela chi la promuove come inevitabile risposta al calo demografico. Fenomeno quest’ultimo spesso percepito con allarme eccessivo: se l’Italia nel 2025 dovesse tornare ad avere gli abitanti degli anni del boom economico, non sarebbe una tragedia, anche considerando i benefici – non solo ambientali – che deriverebbero dall’allentamento dell’eccessiva pressione antropica a cui sono oggi sottoposte molte aree del nostro paese. Certo, il calo della popolazione si accompagna al suo progressivo invecchiamento, un processo che richiede importanti cambiamenti nello stato sociale e il rapido aumento del tasso di occupazione. Si tratta di aggiustamenti non facili, ma ampiamente gestibili con opportune politiche. Queste devono anche creare le condizioni affinché le giovani generazioni riescano a fare il numero di figli che desiderano, numero questo che risulta oggi sistematicamente più alto del numero di figli che le circostanze consentono loro di fare effettivamente. Dopodiché, cosa accadrà più a lungo termine alla natalità (e alla società italiana!) dipende da evoluzioni della cultura e del costume oggi impossibili da prevedere.

Università di Trento


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