L’Italia crolla nella produzione di olio extravergine
Poco olio evo, poco valorizzato: i dati sull’extravergine parlano chiaro sulla produzione italiana, che ora si piazza dietro Spagna, Turchia, Tunisia e Grecia.

L’incontro organizzato a Roma da Confagricoltura a tema “Olio d’oliva: dalla tradizione al futuro, prospettive per l’olivicoltura italiana”, nonostante il titolo ottimistico, non è stato portatore di buone notizie. La ricerca di ISMEA condotta da Tiziana Sarnari ha infatti portato dati inequivocabilmente negativi: l’Italia è l’unico paese produttore a subire un forte calo della produzione, e dal suo storico posto mondiale dopo la Spagna si ritrova ora al quinto posto.
I numeri del crollo
Quest’anno la produzione nostrana di olio extravergine non andrà oltre le 244 mila tonnellate: il numero di per sé non è il peggiore in assoluto (la campagna olivicola 2022/23 per esempio registrò 208 mila tonnellate), ma nel 2024/25 siamo l’unico player del settore a registrare una sensibile flessione, del 26%. Se la Spagna domina da sempre con 1,3 tonnellate di produzione in crescita del 51%, a soffiarci il podio sono state la Turchia con 450 mila tonnellate e raddoppiando il prodotto (+114%), la Tunisia (340 mila tonnellate e +61%), e la Grecia con 250 mila tonnellate e una crescita del 61%.
Le cause della debacle
Secondo Assitol, l’associazione delle industrie olearie italiane, la questione non è solo produttiva, e le cause non sono solo da ricercare nei cambiamenti climatici. Questo il commento della responsabile Anna Cane: “Abbiamo poco prodotto (e a questo occorre porre rimedio) ma lo valorizziamo ancora meno. Al ristorante, ad esempio, mentre ci sono carte dei vini articolate, c’è qualcuno disposto a descrivere le bottiglie e a consigliarne l’abbinamento con i piatti non c’è nulla di tutto questo per l’extravergine. Spesso portato a tavola in bottiglie anonime, nessuno ne consiglia l’abbinamento con i cibi e – soprattutto – nessuno lo fa pagare. L’olio al ristorante è gratis ed è difficile che il consumatore darà valore a qualcosa che gli viene regalato”.
Un problema, questo della scarsa valorizzazione, in cui la grande distribuzione ha un ruolo importante, nei cui scaffali “continuiamo a trovare bottiglie di extravergine offerte a prezzi inferiori ai costi di produzione. In queste condizioni diventa complicato qualsiasi sforzo di valorizzazione del prodotto”, prosegue Cane.
Lo stesso presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, è consapevole che la situazione richiede interventi strutturali: “occorre ripensare la filiera produttiva con investimenti concreti e senza far prevalere la visione ideologica. Se l’impresa è orientata al mercato, c’è bisogno di grande professionalità, perché altrimenti l’Italia perderà questa partita. Sul fronte internazionale il 73% della produzione è in mano a 5 Paesi: Spagna, Turchia, Tunisia, Grecia e Italia, ultima in questa classifica. Gli altri Paesi del bacino del Mediterraneo hanno saputo creare politiche settoriali mirate: Tunisia, Marocco, Egitto e Turchia stanno crescendo in maniera esponenziale. Non possiamo permetterci di restare a guardare”.
Il Masaf sostiene di essere già al lavoro al riguardo, come dichiare il sottosegretario Patrizio La Pietra: “si sta lavorando alla definizione delle linee guida per un piano di settore in modo da essere immediatamente operativi, e a un’unica interprofessione che coinvolga tutti gli attori della filiera, compresa quindi la grande distribuzione e, nelle intenzioni, anche le associazioni dei consumatori”.
Source link