Liguria

Liste d’attesa, genitori costretti a ricorrere alla sanità privata per curare il figlio: Asl3 condannata al risarcimento


Genova. Se il sistema sanitario nazionale non è in grado di garantire le cure necessarie nei tempi giusti, i cittadini hanno diritto a chiedere il rimborso per le spese anticipate. A sancire il principio, che potrebbe aprire la strada a molti altri ricorsi dello stesso tipo, è una sentenza del Tribunale civile di Genova, depositata pochi giorni fa, che ha condannato la Asl3 a rimborsare una famiglia, costretta a ricorrere alle cure private per il figlio, a causa dei ritardi dell’assistenza pubblica.

La vicenda riguarda una coppia con un bambino a cui era stato diagnosticato alla fine dell’ottobre 2019 un disturbo dello spettro autistico. La Asl3 lo aveva inserito nella lista d’attesa per i trattamenti di logopedia e psicomotricità gestiti da centri convenzionati. Ma il bimbo è stato preso effettivamente preso in carico dalla Asl3 solo 34 mesi dopo, ad agosto del 2022. Troppi questi tre anni di attesa e così i genitori hanno fatto seguire il piccolo tra il 2020 e il 2022  da un centro privato per un costo complessivo di 5mila euro.

I genitori, tramite l’avvocata Rita Lasagna, hanno fatto causa alla Asl3 davanti al Tribunale civile di Genova per chiedere il rimborso delle spese mediche effettuate. Il tribunale ha disposto una CTU medico legale che ha stabilito che se in attesa della presa in carico da parte del sistema pubblico il piccolo non avesse ricevuto cure riabilitative private “con ogni verosimiglianza sarebbe stato esposto non tanto a un aggravamento delle sue condizioni o a una mancata guarigione, quanto a un mancato o a un ridotto miglioramento delle stesse, e pertanto a un pregiudizio grave e irreversibile nei confronti del suo stato di salute”. La Ctu ha anche stabilito che le spese erano congrue.

D’altronde, come riporta la giudice Maria Ida Scotto in sentenza, la Cassazione in una recente sentenza del luglio 2023, ha chiarito che “ove la cura sia necessaria ed urgente, essa è a carico del sistema pubblico, e non rileva che sia stata effettuata in una struttura convenzionata o meno, e non rileva che sia stata autorizzata dalla ASL secondo una qualche procedura. E’ rimborsabile in quanto, se non lo fosse, il relativo onere sarebbe a carico del paziente e se costui non avesse le risorse, la salute sarebbe compromessa”.

Così la Asl3 è stata condannata al rimborso di 5mila euro alla famiglia e al pagamento delle spese legali. “Questa sentenza non è solo una vittoria per quella famiglia, ma rappresenta un precedente fondamentale che apre la strada per tante altre persone che potrebbero trovarsi a dover affrontare situazioni simili – commenta l’avvocata Lasagna – perché sancisce che la salute dei cittadini, specialmente quella dei bambini, non può essere sacrificata per carenze del servizio pubblico”.




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