L’Iran muove i “dark vassels”: allarme per la flotta fantasma nello Stretto di Hormuz
La risposta non si è fatta attendere e mentre i missili cadono sulle basi statunitensi in Qatar, l’Iran muove una piccola flotta di navi senza una precisa classificazione verso la strozzatura dello Stretto di Hormuz, dove almeno 50 grandi petroliere stanno cercando di abbandonare il tratto più critico per raggiungere il Mar Arabico. E questo avviene proprio mentre la Cina, in accordo con altri due grandi potenze nucleari, esprime le proprie obiezioni nei confronti della politica degli Stati Uniti e del loro operato per “annullare” il programma nucleare iraniano. Esigendo la soluzione diplomatica e l’immediata cessazione delle ostilità. Così, una flotta ibrida e il rallentamento delle normali rotte di approvigionamento del petrolia attraverso azioni di dusturbo, o un vero proprio embargo operato dalla piccola marina iranana, potrebbero giocare un ruolo importante nella grave crisi che già minaccia un’imprevedibile escalation.
La Cina, la Russia e il Pakistan hanno presentato una “bozza di risoluzione” al Consiglio di sicurezza dell’Onu in cui sollecitano un cessate il fuoco “immediato e senza condizioni” e richiedono una “soluzione diplomatica della questione nucleare” dell’Iran. Secondo quanto riportato dall’agenzia stampa Adnkronos, il testo sollecita anche la protezione dei civili, il rispetto del diritto internazionale e l’impegno delle parti al dialogo e ai negoziati. Mostrando la volontà di Pechino che vuole assumere una postura nella crisi internazionale che sta infuocando il Medio Oriente e rischia di condizionare gli interessi del Dragone.
Questa è l’idea che si può trarre, nonostante il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Guo Jiakun, si sia “trincerato” dietro a un laconico “no comment” in risposta alle domande che vorrebbero conoscere la posizione del Partito comunista cinese riguardo alla “possibile reazione alla chiusura da parte di Teheran dello stretto di Hormuz“. La Cina, che acquista la “quasi totalità dell’export di petrolio iraniano“, va ricordato, ha condannato gli attacchi americani contro l’Iran e il bombardamento di siti nucleari, ma potrebbe non arrivare al punto di sostenere Teheran nella chiusura dello Stretto di Hormuz. Poiché questo condizionerebbe, e non poco, i rapporti con gli Stati Uniti già tesi rispetto alle prospettive di gravi tensioni future nella regione dell’Indo-Pacifico.
Ciò che preoccupa, e che ha messo in allerta intelligence, e di conseguenza analisti attivi nel campo dell’Osnit, è stato il prevedibile spostamento di numerose navi, molte delle quali appartenenti alla “flotta ombra iraniana“, che non conta solo le petroliere addette al traffico di greggio senza bandiera, ma alcuni vascelli privi di classificazione che da ieri stanno facendo rotta verso lo Stretto di Hormuz: considerato uno dei punti più strategici al mondo per via dell’importanza che ricopre nelle rotte del greggio e nella possibile “strozzatura” delle stesse.
Questa flotta di navi iraniane, considerate dei “dark vessels”, non hanno una classificazione precisa, e potrebbero essere semplici cargo o pescherecci, oppure unità civetta che celano navi spia o addirittura vascelli convertiti al ruolo di “navi madre” con capacità di trasportate minacce di vario tipo, come piccoli droni navali per condurre azioni di disturbo o rappresaglia. Aliseo citava infatti la possibilità dell’Iran di imprimere una certa “pressione strategica” nello stretto.
Teheran può giocare questa “carta” per imporsi contri gli Stati Uniti, Israele e i loro parte, e attivare gli interessi cinesi sul destino della rotta petrolifera che passa lo stretto di Hormuz? Sempre su Aliseo nei giorni scorsi si è parlato di “deterrenza marittima indiretta”, con “implicazioni immediate per la sicurezza navale nel Golfo e per il prezzo del greggio“.
In passato abbiamo già assistito a forti tensioni sfociate in operazioni ibride e attacchi ai danni delle petroliere in transito. Spesso rivendicati dalla Forza Quds.
Per questo lo scenario potrebbe replicarsi al fine di imporre la massima pressione su Washington, che potrebbe non aver ancora ottenuto un quadro chiaro sulla portata del suo attacco e sui danni inflitti al programma nucleare dell’Iran, e di conseguenza sul suo principale alleato, lo stato di Israele che ha accolto, e probabilmente invocato, il suo aiuto.
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