Veneto

L’intelligenza artificiale, la scuola e il tutto


L’Intelligenza Artificiale è un copilota, come suggerisce il nome dello strumento di casa Microsoft (Copilot) o è piuttosto un pilota automatico? Da qualche tempo la domanda mi frulla in testa in relazione soprattutto al lavoro che faccio, l’insegnante in una scuola secondaria superiore, ma immagino che succeda quasi a tutti di questi tempi, lavoratori e non.

I fattori da considerare sono molti e purtroppo non credo che facendomi aiutare proprio dal copilota otterrei risposte soddisfacenti: al di là di facili ironie, gli strumenti di IA sono addestrati su dati esistenti e quello che fanno, molto bene, è ottimizzare e razionalizzare l’analisi dei dati (data analysis). In questo caso, però, l’analisi dei dati dovrebbe unirsi a quella tipica capacità dell’homo sapiens di trarre inferenze anche sui comportamenti dei suoi simili, e questo l’IA ancora non lo sa fare.

Come chiunque abbia mai fatto un investimento in banca sa, i rendimenti passati non sono garanzia di rendimenti futuri e tutto quello che abbiamo accumulato come capitale di dati passati, pure analizzandolo benissimo, non ci dirà mai precisamente la traiettoria di evoluzione futura perché questa non dipende solo da una formula o dall’analisi razionale, per quanto dettagliata. Siamo animali imprevedibili, l’economia non è una scienza dura o previsionale ma una scienza sociale, tutto quello che stabiliamo abbia un valore oggi non è detto che ce l’abbia domani perché l’assegnazione di valore è fondamentalmente pura convenzione con una spolverata di pochissimi fatti incontrovertibili, universali ed evidenti come i principi di scarsità e utilità.

I dati su cui pochi grandi speculatori hanno costruito enormi concentrazioni di capitali, che qualche anno fa avrebbero sollevato rivolte di piazza, li hanno pagati niente o poco più di niente perché gli utenti li considerano praticamente senza valore mentre per loro è evidente che ne hanno generato moltissimo.

Quindi, se siamo d’accordo che l’IA stia sovvertendo i giochi, sbrogliando in pochi secondi lavori che richiedevano molti minuti o ore, è lecito chiedersi: che senso hanno molte procedure che davamo per scontate? Il valore di alcuni lavori è sempre lo stesso? Che posto assegniamo all’istruzione in tutto ciò? Confesso la mia difficoltà ad arginare un argomento che sembra sfuggire da tutte le parti, quindi mi limito ai tre interrogativi che ho appena elencato, sperando di dar loro delle risposte che siamo almeno in parte soddisfacenti.

La prima versione di ChatGPT è stata rilasciata nel novembre 2022. Sembra incredibile ma sono solo due anni. Ora di intelligenze artificiali è pieno il mondo. There’s an AI for that (C’è una IA per questo) è un sito che cerca di catalogare e recensire le IA che vengono continuamente pubblicate per gli usi più disparati. Al momento in cui scrivo ne conta 24.056, ma un mese fa erano poco più di 18.000. Al di là dei numeri grezzi, è interessante – o perturbante, fate voi – vedere cosa fanno queste IA, e quindi su quali lavori vanno a impattare direttamente e immediatamente.

Le IA sono bravissime a svolgere compiti di routine, specialmente nella scrittura. Ci sono IA per scrivere email, report, lettere formali/commerciali, intere presentazioni – inclusa la generazione di slide ma anche la sintesi di slide in appunti – ovviamente rappresentazioni di dati non solo in liste ma in grafici a torta, a istogramma, su piani cartesiani.

Sono poi fenomenali nella programmazione – ironia della sorte: sono state progettate da programmatori ma saranno proprio i programmatori i primi a essere più colpiti dall’impatto delle IA che progettano intere app a partire dai prompt, le poche righe di istruzioni che gli diamo. Negli Stati Uniti ci sono già aziende in cui un reparto genera con l’IA report e brief su un dato argomento, la newsletter gira all’interno dell’azienda, e lo stesso report viene poi riassunto con altre IA da chi non ha voglia o tempo di leggerlo per intero.

Il webinar di formazione aziendale viene trascritto, riassunto e podcastizzato con NotebookLM, per poi magari ascoltarselo in forma ridotta sul proprio telefono o in auto sulla strada di casa, riducendo informazioni complesse a una lista puntata. Ho solo fatto alcuni esempi che verrebbero in mente a chiunque non voglia perdere la propria vita dietro alla (troppa) burocrazia che si trova nei posti di lavoro ma ovviamente la fantasia non ha limiti. Se so che esiste una IA per quasi qualsiasi cosa, chi mi impedirà di combinare diverse IA per polverizzare, impastare, digerire e risputare una incombenza noiosa che mi richiederebbe un paio d’ore di lavoro risolvendola in 10-15 minuti o meno?

Ma se lo sa anche il mio capo, chi gli impedirà di caricarmi di lavoro sapendo che tanto uso questi “trucchetti” per smazzare il lavoro di routine? Viva la prolissità fine a se stessa, se nessuno si fermerà a un certo punto a riflettere se valga davvero la pena redigere quel rapporto che nessuno leggerà per intero o compilare quella domanda per i fondi europei: chi mi assicura che al Ministero o in Europa non si comportino alla stessa maniera? D’altronde sono persone uguali a me.

E quella proposta di legge, siamo sicuri che sia proprio farina del sacco dei nostri deputati? Perché già molti anni fa almeno uno ha ammesso pubblicamente di usare strumenti molto simili all’intelligenza artificiale per generale centinaia di migliaia di emendamenti a fini di ostruzionismo; ora che gli strumenti sono pure migliori perché non dovrei pensare che molti non li usino?

Mi fermo perché credo che il percorso sia chiaro: secondo me l’abbondanza di strumenti che ingannano la percezione ci farà progressivamente perdere fiducia nella umanità (intesa in senso letterale) di molte delle cose che ci circondano e genererà un senso di sospetto generalizzato e di calo della percezione di valore.

Se chiunque con un prompt ben fatto e i pochi soldi che richiedono gli abbonamenti può costruire una presentazione, una legge, un’immagine o un video di qualità professionale, dov’è il valore di avere una forza lavoro dipendente all’interno di una azienda, che costa moltissimo? Ha ancora lo stesso status sociale tutto lo sforzo che serve per ottenere un’istruzione che richiede anni di duro studio? La scuola moderna nasce attorno alla metà dell’Ottocento fondamentalmente per due motivi equipollenti: avere una forza lavoro con formazione superiore, e costruire una classe ampia di cittadini che abbiano dei valori in comune.

Questo è il motivo per cui in tutte le scuole si studia italiano, storia, matematica, inglese anche se poi si fa il manutentore meccanico, l’informatico o lo chef. Professionalità e cittadinanza, imparare un mestiere ma anche capire di avere qualcosa in comune con cittadini del tuo stesso stato che non hai mai incontrato. L’IA come tutte le cose ha pro e contro, ma non si può ignorare che arriva alla fine di un percorso quarantennale di individualismo sfrenato nell’economia come nella cultura che ha fortemente disgregato il senso di comunità.

Palesandosi in un contesto ricettivo verso la focalizzazione individuale è stata accolta tutto sommato positivamente quando invece il suo stesso statuto doveva rivelarci i molteplici pericoli di uno strumento nato dalla deregolamentazione e orientato alla concentrazione non solo del capitale ma anche delle risorse e, in ultima analisi, della conoscenza.

Le IA sono addestrate con dati pubblici, i quali certamente non vanno pagati per l’utilizzo ma non significa che non siano costati risorse per produrli e metterli a disposizione di tutti. L’utilizzo a man bassa per scopi di profitto da parte dei crawler, setacciatori automatizzati di dati, andrebbe compensato perlomeno in parte.

Ma molti altri dati sono certamente mietuti (la procedura indicativamente si chiama harvesting, mietitura appunto) senza il consenso degli utenti, o con un consenso estorto – chi va mai a leggere la privacy policy di un social network come Instagram, dopotutto? Se lo facessimo, scopriremmo che il network sa perfino i nomi, dati e posizione delle reti wi-fi che abbiamo nel raggio di ricezione del nostro device ma che non stiamo utilizzando, così come tutti i dati software, di batteria, di consumo, quante finestre abbiamo aperte e cosa stiamo visualizzando. I famosi dati cui noi non diamo valore ma che aggregati fanno la gioia di chi ci vende pubblicità e che non capiamo come mai riesce a proporci proprio quelle scarpe di cui stavamo parlando poco fa con il nostro amico.

Tutte queste cose vanno messe assieme in un discorso sulle IA che sia un minimo serio. La potenza di questi strumenti gliel’abbiamo data noi, e continuiamo a tenerla al passo aggiornando costantemente la base di dati che permette a questi strumenti di lavorare.

Se il flusso di dati si interrompesse, o divenisse lento e costoso, questi strumenti invecchierebbero rapidamente come sono sorti perché continuerebbero a macinare gli stessi dati finendo per corromperli progressivamente in un processo di enshittification, “merdificazione”, come la definisce Cory Doctorow. Non sto dicendo che dovremmo boicottarli: la storia ci dimostra che i movimenti che si sono messi di traverso all’innovazione tecnologica, dai luddisti contro i telai meccanici ai vetturini contro le automobili, hanno finito per soccombere e diventare un relitto del passato.

Ancora esistenti, ma testimonianze di nicchia o folklore. Sto dicendo che dovremmo governare un cambiamento epocale invece che lasciarlo a un mercato privato e ingordo che vede internet (quindi tutti noi) solo come un immenso pollo da spennare. Se è vero che siamo nell’era dell’internet in cui tutti sono partecipi, tutti dovremmo essere partecipi in proporzione anche a ciò che c’è di buono altrimenti finiamo per essere, tanto per cambiare animale, parco buoi. Arriviamo infine alla scuola.

I ragazzi non sono passivi, ci guardano e traggono le loro conclusioni con gli strumenti che si danno e che noi gli diamo. Se mostriamo loro che anche noi non vediamo altro che il nostro piccolo orto che ormai è diventato un triste vaso di plastica, non possiamo pretendere che decidano autonomamente di prendersi loro carico del lavoro duro e studiare – tutto – dalle basi in un afflato riformatore che non si capisce bene perché dovrebbero avere solo perché con meno anni sulle spalle. Il senso della scuola non è affatto chiaro nell’era delle IA perché come il dipendente sa che può generare un report, anche lo studente (così come l’insegnante) conosce Magic School che gli permette di fare presentazioni scolastiche, podcast, ricerche, generare e correggere esercizi, flashcard per l’inglese, progettare interi giochi.

Qual è lo scopo se ho qualcos’altro che lo fa per me, ed è piuttosto difficile che il prof se ne accorga a meno che non sia tignoso e perda del tempo a usare IA che sgamano contenuti generati da altre IA (più di 40, al momento)? Ci sono pedagoghi che sostengono che dovremmo abbracciare il cambiamento, non essere retrogradi, che tanto i telefoni li hanno tutti e dovremmo piuttosto chiedere ai nostri figli che cosa fanno nella loro vita on life, modalità blended che fonde reale e virtuale. Io sono perplesso.

Se dovessi veramente cedere gli argini che metto a questi strumenti, visto che so che non sono neutri ma sono costruiti per il profitto, in maniera ingannevole e predatoria e come fine non hanno alcun miglioramento della società ma la sua parcellizzazione in individui focalizzati sul loro interesse personale – pur mascherandolo abilmente con funzioni di sharing il cui solo fine è l’esibizionismo e non la vera condivisione bidirezionale – credo che genererei ai miei studenti un danno enorme.

Credo che la scuola, pur con tutti i suoi limiti – burocrazia, concorsi, valutazioni – debba rimanere un luogo sicuro e dunque perlopiù sconnesso a livello individuale, che insegni che esiste una dimensione in cui si acquisiscono conoscenze, competenze e abilità con processi lenti e incrementali e che non tutto debba per forza essere ottenuto immediatamente come nella nostra società veloce odierna. Lo diceva Roberto Casati in Contro il colonialismo digitale anni fa e le sue osservazioni rimangono valide ancora oggi.

Ma la scuola funziona solo le famiglie e la società le riconoscono valore. Oggi questo valore è in degradazione perché la scuola è vista come arretrata rispetto alla società e al mercato. È vero, ma rimanere indietro non significa per forza essere in svantaggio, se il progresso va in una direzione che non è il frutto di un accordo ma di un sopruso di una parte, piccola ma molto forte.

Fortune, non esattamente una rivista socialista, dice che l’1% più ricco degli USA detiene il 27% della ricchezza nazionale (nel 1989 era il 23%, in termini percentuali un aumento del 9,2%), mentre Forbes afferma che a livello mondiale va pure peggio: l’1% più ricco possiede il 43% della ricchezza globale. Contemporaneamente, la classe media è in costante contrazione da anni ovunque tranne che nei paesi emergenti, dove comunque si partiva da una situazione di quasi assenza.

È evidente chi ha beneficiato di più del miglioramento dell’economia degli ultimi 50 anni, la cosa che è meno evidente è perché chi si entusiasma di più delle innovazioni che dovrebbero migliorare la produzione siano proprio coloro che non si trovano appieno nelle condizioni di capitalizzare, nel vero senso della parola, il vantaggio di queste tecnologie.

Studenti fragili, dipendenti in mansioni a bassa specializzazione, liberi professionisti a rischio automatizzazione – a me vengono in mente per primi i traduttori perché li conosco, ma credo che a ognuno verrà di pensare a molti conoscenti che avranno vita dura a breve e che pure magnificano di quanto le IA gli abbiano semplificato la vita lavorativa.

Qualsiasi corso di formazione ora deve includere per forza l’IA, che viene invariabilmente presentata solo nei suoi aspetti di opportunità e vantaggio per il lavoro, quasi mai invece viene descritto l’aspetto tecnico di training – su quali dati viene “formata” e se siano dati usati legittimamente – e proprio mai vengono esposti i rischi a lungo termine di un delegare grosse fette di lavoro alle IA, ossia la ridondanza (redundancy) del proprio posto di lavoro. Invece che investire fin da ora in una formazione che includa anche i rischi delle IA, e non solo le opportunità che ci sono, preferiamo lasciare all’iniziativa individuale, di nuovo, la responsabilità di reinventarsi accettando il fatto che ormai la precarietà debba investire ogni aspetto della vita.

Come prevedevo molta carne è finita al fuoco, ma questo succede perché non si possono trascurare gli aspetti che l’online ha sulla vita reale, sul lavoro e sui rapporti personali. L’unica cosa certa per me è questa: la scuola ha ancora un ruolo, le famiglie hanno ancora un ruolo, lo stato ha ancora un ruolo. L’economia è una costruzione, non è obbligatorio che il mercato funzioni così come ce lo ritroviamo, in una perenne crisi con rari sprazzi di ottimismo.

Il valore lo creiamo noi, e decidendo come comportarci, spesso in maniera imprevedibile, siamo capaci di cambiare le cose per il meglio.

È vero che per imparare a noi serve molto tempo, ma il senso della scuola dovrebbe tornare a essere principalmente quello di insegnare che l’unico scopo nell’apprendimento non è passare i test, ma acquisire qualcosa che sia sempre con noi anche quando va via la luce e non c’è connessione.


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »