Economia

L’indotto italiano trema: “Per noi effetti doppi”. E Ferrari alza il listino per gli Usa

ROMA – Il rischio è che la tempesta perfetta che ha colpito il comparto auto si trasformi in un uragano. E a pagare il prezzo più alto, probabilmente, non saranno i grandi costruttori globali, che possono decidere di stabilizzare la produzione tra Usa ed Europa o come Ferrari che ha già annunciato un incremento fino al 10% del prezzo per i listini, ma le aziende dell’indotto. Un comparto, formato da 1.200 aziende che dà lavoro a 170 mila persone e fattura 59 miliardi. Di questi oltre 1,2 miliardi è fatto con l’export negli States. L’import invece è di solo 230 milioni.

La cifra, che rappresenta circa il 5% delle esportazioni mondiali (23 miliardi) del settore, non rappresenta l’impatto vero. Sarà più alto. «Nel 2024 sono state esportate dall’Italia meno di 30 mila macchine negli Usa – sottolinea Dario Duse, responsabile Emea del Team Automotive e country leader di AlixPartners – l’effetto ci sarà, ma sarà relativo. Sull’indotto, invece, sarà doppio. Quello diretto sui componenti che vanno oltre oceano e quello indiretto sui sistemi che vengono montati su vetture europee, in particolare tedesche».

Preoccupato il direttore dell’Anfia, l’associazione che rappresenta la componentistica, Gianmarco Giorda: «In Germania vendiamo circa 5 miliardi di euro, in parte su automobili esportate negli Usa. Anche questi saranno tassati? E se ci sarà un calo delle esportazioni tedesche questo avrà conseguenze sui fatturati italiani». I dettagli non sono ancora chiari, così come i sotto settori colpiti dalle tariffe che, in questo particolare caso, scatteranno entro il 3 maggio. Interviene anche il ceo di Pininfarina, Silvio Angori, che è convinto che alla fine si troverà un punto di caduta: «Nell’immediato rappresentano un problema, ma la sensazione è che si tratti di iniziative temporanee, perché avranno a brevissimo effetti sulla stessa economia Usa. Mi sembra un aspetto molto negoziale, non strategico, la resilienza diventa essenziale».

Ferrari a distanza di poche ore dall’annuncio di Trump ha comunicato un aumento fino al 10% dei prezzi negli States a partire dal 2 aprile. Le auto del Cavallino si fanno a Maranello e in nessun altro posto. Per cui Ferrari, che conferma i target 2025 nonostante i dazi americani, rivede il listino per assorbire almeno una quota del sovrapprezzo. Lamborghini, altro brand per cui sarebbe difficile immaginare di produrre altrove, condivide la valutazione degli esperti per cui i dazi avranno «conseguenze negative su un mercato per noi molto importante come quello Usa», ma a Sant’Agata Bolognese si attendono indicazioni dalla capogruppo tedesca Audi.

La torta in gioco è importante: nel 2024 sono state esportate dalla Ue agli Usa 750mila veicoli per un controvalore di oltre 38 milioni di euro sui 290 milioni totali. Trump ha fatto salire ancora la tensione, anche se i costruttori europei sperano che tra Bruxelles e Whashington si arrivi ad un compromesso. Stellantis dall’Italia esporta in Usa la 500 elettrica, le Alfa Giulia, Tonale e Stelvio, oltre a Jeep Compass, Renegade e la Hornet della Dodge. Numeri comunque contenuti sui quali l’azienda aspetta di fare le sue valutazioni quando le misure saranno più chiare. Più complessa la situazione per le fabbriche in Messico e in Canada collegate con gli Stati Uniti.


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