L’Indicatore di impatto giovanile, una proposta
Tre studenti veneti hanno fatto scena muta all’orale della maturità, avendo già raggiunto il minimo per la promozione: sessanta. Non è una statistica, ma un segnale silenzioso. Come la scelta di tanti high-flyers, giovani ad alto potenziale professionale, che si dimettono da posizioni prestigiose, anche in aziende quotate, anche senza un piano B. Lo sanno bene gli amministratori delegati, lo sanno i direttori del personale, oggi people manager, che si arrovellano nel trattenere talenti sempre più impalpabili con piani di welfare obsoleti e costosi.
Un segnale forte arriva anche da chi sceglie di non avere figli e spesso neppure una coppia stabile. La cosiddetta generazione No Kids, che include i DINK (Double Income, No Kids), rappresenta circa il 50% dei giovani tra i 18 e i 34 anni. Non è solo una generazione precaria: è anche benestante. Nel 1999, in Italia nascevano 538.000 bambini. Oggi meno di 370.000. È come se ogni anno sparisse Salerno o Perugia, senza fare rumore. Nessun altro Paese europeo ha visto crollare la natalità così rapidamente. Oggi siamo la nazione che fa meno figli e più tardi: 1,18 figli per donna, età media al primo parto oltre i 32 anni. Il saldo naturale – nati meno morti – è negativo dal 2007. La natalità media in Italia è di 7 bimbi per mille abitanti, in Europa è 9‰. Milano, con il suo 6,8‰, non genera più futuro di Roma (6,0‰). Al contrario, Bolzano e Trento (8,8‰) e Catania (8,5‰) superano la media nazionale grazie a un modello sociale più coeso.
Dietro i numeri c’è un disagio profondo. Giovani iper-istruiti, iper-informati, ma anche più sfiduciati, alla ricerca di sé e di senso. Vogliono impatto, non solo profitto. E quando non lo trovano, si ritirano. Il benessere non coincide più con il lavoro o gli oggetti. “La Roba”, come raccontava Verga, diventa prigione. Un tempo bastava un bonus per trattenere un giovane. Oggi non basta nemmeno un aumento.
Il problema è antropologico. Le donne in età fertile sono calate da 14 milioni (1995) a 11 milioni oggi. Più precarie, spesso sole: il 29% lascia il lavoro entro due anni dal primo figlio. Il costo medio di un bambino nei primi tre anni supera i 600 euro al mese. Ma il peso più grande è emotivo.
L’Italia è dunque una nazione giovanile ma non giovane. L’idea stessa di diventare “grandi” viene rimandata, sospesa. Secondo un’indagine in 41 Stati di WIN Market Research (2023), mentre nel mondo ci si sente “vecchi” mediamente dai 56 anni, in Cina dai 44, in Italia la soglia si sposta dai 70. Un tempo sociale che si allunga, ma spesso resta privo di direzione. Se invecchiare appare remoto, anche costruire prima può sembrare inutile.
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