Library Tapes – biografia, recensioni, streaming, discografia, foto :: OndaRock
David Wenngren e Per Jardsell sono due musicisti svedesi che nel 2005 hanno dato vita ai Library Tapes, progetto che spazia dall’ambient al noise sino alla modern classical. Un sound che ha reso in musica i freddi paesaggi svedesi tramite un uso minimale di pianoforte, chitarra ed elettronica, caratterizzato – soprattutto nei primi album – da un’ossessione per l’oscurità al limite dell’apocalittico.
I primi anni del progetto sono caratterizzati dalla semplicità degli elementi sonori – molto spesso poche note di piano o di chitarra che si ripetono ipnoticamente minuto dopo minuto per essere infine devastate e cancellate da ondate noise che non lasciano scampo. Questi primi abum – soprattutto i primi due che si possono considerare il loro vertice, con copertine rigorosamente in un bianco e nero sfuocato – sembrano rappresentare una versione musicale delle visioni più oscure e meste del loro connazionale Ingmar Bergman.
Fin quando David Wenngren e Per Jardsell hanno collaborato insieme, queste sono state le caratteristiche principali del progetto, ma con l’abbandono di Jardsell – avvenuto prima della pubblicazione di Höstluft – il corso del progetto virerà verso sonorità più luminose, vicine a una più tradizionale modern classical (e conseguenti copertine a colori di tutt’altro aspetto), perdendo gran parte della potenza emotiva iniziale. Facendo un paragone, si potrebbe dire che i dischi dei Library Tapes passano dai Labradford o dai Silver Mt Zion per dirigersi verso Max Richter o Sylvain Chauveau.
I primi due album, la fase oscura e più creativa
La cover di Alone In The Bright Lights Of A Shattered Life (2005) ci introduce già in queste atmosfere con la foto sfocata di una centrale elettrica forse abbandonata, alle spalle, un’alba in un mondo antropizzato decadente e inumano. L’aspetto della caducità degli elementi si coglie chiaramente in “Broken Piano”, breve sonata per pianoforte scordato, figlio diretto del piano preparato di John Cage, con registrazioni di fondo a incutere un senso opprimente di rarefazione della realtà.
La struttura tipica dei primi brani del progetto svedese è però rappresentata da “In A Safe Place… Somewhere Near Your Heart”, una melodia oscura di piano, prima suonata con la mano sinistra sulle note basse e poi ribattuta sulle ottave più alte con la mano destra, su cui si inserisce la chitarra per poi lentamente venir dissolta da un colata di elettronica noise devastante.
Nonostante la semplicità delle intuizioni, il risultato è comunque riuscitissimo, con un impatto emotivo che la musica ambient raramente è in grado di sfiorare. “The Leaves Have Left Us” presenta una soluzione simile, con la sola chitarra acustica su venti elettronici e un’atmosfera molto vicina a quella cupa dei Labradford. Le due composizioni “Cold Leaves For The Violent Ground” e “The Scratches On The Window In The Doors Of Each Cell” hanno la medesima struttura con una durata limitata, mentre la title track di quasi dieci minuti rappresenta l’apoteosi delle idee del duo. Ritmi intensi e note basse di piano e chitarra a fondersi tra loro sino alla nuova ondata di rumore bianco a far collassare ogni nota. La musica dei Library Tapes ha raggiunto livelli espressivi che farà fatica a trovare nei tanti lavori successivi.
Con Feelings For Something Lost (2006) inizia una graduale evoluzione verso suoni tanto scarni da apparire quasi incompiuti. Nella cover è raffigurato un albero in bianco e nero che abita un paesaggio desolato, metafora di una natura morente, quasi annichilita dalla presenza dell’uomo. David Wenngren e Per Jardsell semplificano il sound dell’esordio, destrutturando ogni forma di melodia: laddove prima le soluzioni melodiche erano nitide, qui sembrano frammentate e destinate a svanire nel nulla, lasciando così spazio all’immaginazione dell’ascoltatore. I dodici brani (tutti dai titoli molto lunghi e dalla durata molto breve) iniziano con “But Now Things Were Different, With Birds Unable To Speak”. Un canto di uccelli viene lentamente sostituito da suoni industriali: quello che all’inizio appare il rumore di una sega si alterna a clangori metallici che sostituiscono lentamente il suono della natura.
Questi frammenti di melodie incompiute su registrazioni ambientali, quasi abbozzi di brani mai completati (“Feelings For Something Lost In Two Parts”, “Fading Lights And Distant Memories”), a volte con timbri decisamente interessanti (“Leaves Abstract In A Village Plunged Into Mourning”), donano a tutto l’album un senso di fragilità che rappresenta bene la fugacità della musica in generale e di quella ambient in particolare. In questa incompiutezza generale, emerge inattesa all’improvviso, quasi dal nulla, la splendida melodia di “Lines Running Low Through 7th (…The Shame Of It All…)” le cui note di piano in perfetta successione avrebbero fatto l’invidia di qualsiasi compositore di musica da film.
L’abbandono di Per Jardsell, una nuova fase
A questo punto, proprio quando il duo è divenuto una delle realtà ambient più compiute e interessanti del nuovo decennio, Per Jardsell lascia per motivi di studio. La mossa ha ovviamente delle conseguenze, ma David Wenngren riesce a mantenere in vita il progetto e donargli nuove prospettive anche se qualcosa si perderà per sempre.
Höstluft (2007), il primo disco senza Jardsell, vira la copertina in giallo con un lampione, unico manufatto, immerso in paesaggio che si potrebbe definire giallo-grigio, con un sole freddo che inonda la natura circostante. La musica cambia ulteriormente: i brani non hanno più i crescendo dei finali elettronici dell’esordio. E’ la melodia a entrare prepotentemente, con rumori elettronici disturbanti in sottofondo, quasi a rappresentare il decadimento del supporto magnetico. Ma gli elementi che colpiscono maggiormente sono due: Höstluft è pensato per essere un disco di piano solo e il contributo elettronico è davvero minimale, inoltre, i brani iniziano e finiscono sempre nello stesso modo senza alcuna evoluzione col passare dei minuti. A volte emergono melodie perfette, come “Skiss Av Träd” o “Repor”, a volte invece sono semplicemente tracciate senza essere portate a compimento, altre volte si tratta di semplicissimi acquerelli melodici di poche note dal grande impatto.
Sketches (2007), come lascia già intendere il titolo, riesce in qualcosa che sembrava impossibile: ridurre tutto ancor più all’osso. I brani sono idee sonore scarnificate come mai prima d’ora. In alcuni episodi, come “Fields” o “First Day Of Spring”, fanno il loro ingresso gli archi, a dimostrare l’avvicinamento dei nuovi Library Tapes alle atmosfere eteree di Max Richter, anche grazie alla collaborazione con il violoncellista inglese Danny Norbury. L’intimismo di alcune idee sonore come quelle di “View From A Train”, le note rarefatte di “The Park”, le texture elettroniche su piano di “Snowleaf” conservano ancora un certo interesse.
Sketches chiude il periodo migliore dei Library Tapes che, nonostante gli innumerevoli lavori successivi, non raggiungeranno più la poetica potente dei primi album.
Nel frattempo la compagna di Wenngren, Erica Gunnarsson, pubblica un lavoro di piano a nome Xeltrei. Litotes (2007) è un esperimento di dualismo tra musica e silenzio, dove le note di piano sono talmente rarefatte da rasentare l’impalpabilità.
Il passaggio definitivo alla modern classical
A Summer Beneath The Trees (2008) segna il definitivo passaggio alla modern classical e il completo abbandono delle atmosfere grigio scure precedenti, per dare l’avvio a una nuova stagione, più luminosa, ma più povera di idee. Già la cover a colori indica un cambiamento. Dal bianco e nero sfocato dei primi lavori a un cielo azzurro e un campo giallo, che indicano un paesaggio vagamente simile a un dipinto impressionista.
Piano e archi dominano ovunque e la musica diventa fin troppo prevedibile. E’ chiaro che non mancano momenti evocativi, ma tutte le sensazioni angosciose insinuate nei primi album si trasformano in una musica da sottofondo, fin troppo uguale a sé stessa.
Fragment (2008) è il secondo lavoro nello stesso anno, fondamentalmente un clone del predecessore, aggiornato alla nuova fase intrapresa da Wenngren. Gli otto brani che suddividono questa sorta di concept ambient divengono suoni da carillon eseguiti dal piano, con qualche ricamo di chitarra e sovrapposizioni di archi. A volte l’alchimia funziona bene raggiungendo atmosfere mistiche degne dei Popol Vuh (“Fragment II”). In “Fragment III” ricorrono le classiche composizioni di piano con le due note ribattute che hanno fatto la fortuna di Max Richter, a indicare ancora una volta la direzione intrapresa. C’è anche spazio per una collaborazione con il compositore francese Sylvain Chauveau (“Fragment VI”), che proprio in quegli anni si faceva notare con album di minimalismo pianistico.
Tre progetti estemporanei: Forestflies, Le Lendemain e Murralin Lane e un album a proprio nome
Sempre nel 2008, Wenngren dà vita al progetto estemporaneo Forestflies con cui pubblica Structure/Chaos. I sei brani, intitolati semplicemente con i nomi degli strumenti in essi utilizzati, rappresentano altrettanti esperimenti di filtraggio elettronico di scarne piéce strumentali, che spaziano dal tenebroso romanticismo di “Cello 2”, all’astrattezza basinskiana dei drone di “Guitar And Cello” al costante fluire ambientale di “Processed Vocals And Strings” e dell’emozionante “Piano And Violin”, unico brano in cui Wenngren offre sprazzi del suo aggraziato minimalismo pianistico.
Nel 2009 Wenngren mette in pausa il progetto Library Tapes, ma non resta con le mani in mano. Fonda la sua nuova etichetta Auetic e inizia due collaborazioni coi progetti Le Lendemain e Murralin Lane. Nel primo collabora col già citato violoncellista Danny Norbury e dà vita a Fires (2009), Lp molto malinconico di piano e violoncello che ricerca un moderno minimalismo da camera. Nel secondo, a nome Murralin Lane, ricerca strade più originali, grazie alla partecipazione della cantante svedese Ylva Wiklund.
Our House Is On The Wall (2010) è il primo disco di David Wenngren in cui appare una voce, ma la cosa non deve stupire perché in questo caso il canto di Wiklund è uno strumento tra i suoni alieni, creati con echi processati, che catturano i suoni registrati all’alba intorno alla casa di campagna dello stesso Wenngren, luogo dove l’album è stato interamente realizzato. Il piano scompare del tutto e ciò consente di sperimentare sonorità completamente diverse, astratte e evanescenti, con suoni che ricordano i bit di un contatore Geiger in una sorta di slow-core post-atomico in bassa fedeltà.
Wenngren pubblica infine il primo, e finora unico, lavoro a suo nome, intitolato Sleepless Nights, interamente composto in vari momenti tra la notte fonda e i primi bagliori dell’alba nel corso di un periodo di insonnia patito dall’artista svedese. Un lavoro la cui austerità si traduce in composizioni brevi, che descrivono un’ambience oscura e fortemente evocativa, riassunta in tappeti elettronici sui quali insistono folate di violoncello o note pianistiche sparse, non più intrise di cristallina serenità e quasi mai giustapposte a creare melodie propriamente dette. L’insonnia di Wenngren raggiunge poi vette allucinate, inarcandosi in modulazioni rallentate di drone claustrofobici, che in “For D.N” si increspano in persistenti distorsioni, mentre “06.08, When Everything Is Quiet” descrive alla perfezione la spossatezza della veglia notturna, con note di piano sorde e quasi immobili.
Il ritorno dei Library Tapes
Il nuovo lavoro uscito a nome Library Tapes, Like Green Grass Against A Blue Sky (2010), non è molto distante dai percorsi che Wenngren aveva tracciato negli anni precedenti. Tra i vari abbozzi pianistici, sempre più vicini a musicisti come Nils Frahm o Peter Broderick, emergono i sette minuti di “O2”, dilatati come mai nella discografia del musicista svedese, ma allo stesso tempo particolarmente inquietanti e ossessivi con il magnifico suono del violoncello di Danny Norbury in evidenza. Per il resto, è ancora una volta il piano il vero protagonista di “Enslig”, con un suono ridotto quasi al silenzio, e di “Klosterg.”, episodio bizzarro nelle sue improvvise accelerazioni. I field recordings e gli aspetti noise sono ormai praticamente scomparsi. La musica dei Library Tapes tende sempre più a un ricetta che si ripete senza grandi novità.
Nel 2011 le collaborazioni dell’artista svedese si arricchiscono di un progetto realizzato assieme al sound artist canadese Christopher Bissonnette, The Meridians Of Latitude And The Parallels Of Longitude, disco che contiene quattro lunghe composizioni (intorno ai dieci minuti) di drone music atmosferica che non spiccano per originalità.
Sun Peeking Through (2012), con la partecipazione di Danny Norbury e Julia Kent, è un lavoro di pura modern classical con tutti gli stilemi del genere, che fa fatica a sorprendere, nonostante la title track si riveli comunque interessante e a volte (“Found”) si riescano a cogliere suoni vicini a quelli delle colonne sonore del duo Nick Cave/Warren Ellis.
Gli album della 1631 Recordings, la nuova creatura di David Wenngren
Nel 2015 David Wenngren fonda una nuova casa discografica, la 1631 Recordings, etichetta estremamente prolifica, che diviene un punto di riferimento per la modern classical.
Escapism (2016), primo album pubblicato con la label, rappresenta un po’ la sintesi di quanto espresso nei lavori precedenti, ma ha il merito di contenere melodie pianistiche in grado di rimanere nella memoria (“Running By The Roads, Running By The Fields”), anche grazie – ancora una volta – a Julia Kent, che porta in dote aspetti a metà tra un ambient austero, che rinuncia del tutto a ogni tentazione di ripetizione minimalista, e una musica classica da camera, volutamente semplice ed essenziale, imbastita su continui dialoghi tra piano e violoncello.
L’album prende l’abbrivio con i delicati rintocchi di vibrafono di “Introduction I”, cui segue il violoncello che detta immediatamente il mood malinconico di “Escapism”. Subito dopo è il pianoforte a irrompere; la fuga pianistica di “Running By The Roads, Running By The Fields” sembra far rivivere il suono del maestro Max Richter e del suo “Vladimir’s Blues“. Le note di piano e vibrafono di “Feathers” aprono squarci di luce che si espandono sempre più, sino a dar vita alla magnifica e ariosa “Silhouettes”, vero sogno a occhi aperti e momento più liberatorio dell’album. Il finale è lasciato all’onirica “Achieving Closure”, dove il piano scompare per lasciare il posto a brevi rintocchi di percussioni e archi.
Sempre nello stesso anno viene pubblicato – in sole audio-cassette – l’introvabile Sketches, Outtakes & Rarities Vol. 1 & 2, che raccoglie brani scartati o semplicemente abbozzi mai elaborati.
Il 2016 si chiude alla grande per Wenngren, con la sua prima colonna sonora, per il film del regista svizzero Jan Gassmann, Europe, She Loves. Il film di Gassmann, attraverso la vita di quattro coppie europee che vivono in paesi molto diversi tra loro (Irlanda, Estonia, Grecia e Spagna), sottolinea la fragilità delle storie d’amore di altrettante coppie, cercando di mettere in evidenza quanto vi sia in comune in ognuna di loro. In una trama così fragile, la musica dei Library Tapes, sempre con l’aiuto di Julia Kent, si rivela perfetta per descrivere le quattro città e le quattro coppie protagoniste.
Dopo anni di stilemi ripetuti, il breve Ep Komorebi (2017) – una composizione di diciannove minuti divisa in cinque parti – rappresenta un cambiamento positivo. Se escludiamo i consueti dialoghi tra piano e il violoncello di Julia Kent, in “Komorebi pt.1” e “Komorebi pt.2” la musica si avvicina all’ambient di Brian Eno con synth ripetitivi e il suono di un organo a creare atmosfere particolarmente oniriche, al limite del lisergico.
Gli album di piano solo
Questo cambiamento ha una durata molto breve: si interrompe subito, infatti, con Patterns (Repeat) (2018), stavolta con la collaborazione, oltre che della solita Julia Kent, della violinista giapponese Hoshiko Yamane. Il ritorno a una forma prevedibile di modern classical non è francamente entusiasmante e a parte i brani per piano (“Patterns”, “Achieving Closure” e “Repeat”), sembra esserci poco da salvare. Nel 2020 quest’album ha una nuova vita grazie alla pubblicazione di Patterns (Revisited), una versione ambient dilatata dei brani suonati dalla violinista Hoshiko Yamane, per solo archi e synth, nel complesso preferibile all’originale.
Ormai la creatura di David Wenngren sembra avere poco altro da dire e l’Ep Summer Songs (2020) tenta una nuova strada in solitaria per solo piano, senza più collaborazioni. Sette piccoli abbozzi per solo piano, eterei acquerelli musicali di appena tredici minuti dedicati all’estate. Le partiture minimali di piano restano sempre scarne e di estrema semplicità, mai arricchite con altri strumenti (tranne rare registrazioni), come a cercare ricordi lontani di estati ormai dimenticate, impossibili da far risalire alla memoria se non con la serenità e con la quiete.
Summer Songs si iscrive quindi in quella tipologia di Ep composti da sketch estemporanei che tanti musicisti hanno pubblicato nell’arco della loro carriera. Rimandi alla forma sonata moderna, ovviamente, ma che si prolungano sino al padrino del piano minimale John Cage. Lavori in totale solitudine, figli dell’ispirazione del momento, che vanno da risvegli carichi di gioia (“Summer Morning”) a rilassati pattern ripetuti (“With Windows Open”) alla visione di cieli blu intensi (“July Skies”).
Nessuna stratificazione, nessuna sovrapposizione, tutto è sottratto al minimo sino a “Above The Quiet City”, brano che anticipa il successivo Lp The Quiet City (2020). Se il disco precedente era interamente suonato da solo, il nuovo è invece una sorta di multinazionale della modern classical. Vi collaborano la violoncellista Julia Kent, la pianista Olivia Belli, Michael Muller dei Balmorhea, la violinista Hoshiko Yamane e il compositore Akira Kosemura. Questa pluri-collaborazione non porta grandi novità se non nel finale di minimalismo ripetitivo con Olivia Belli e Julia Kent a tenere un dialogo frenetico tra piano e violoncello.
Dusk (2021) riscopre il piano preparato (“At Night”, “Safe Heaven”) senza arrivare mai ai livelli di “Broken Piano” dell’esordio, insegue melodie romantiche (“Hanami”, “Lullaby”) e tenta fughe pianistiche in stile Max Richter (“Fleeting Waltz”). Nel complesso un discreto disco di piano solo, come lo è anche il successivo Lp clone (con persino la stessa cover) Sunset (2022). Si segnala soprattutto l’apertura bizzarra, tanto vicina a una forma di sonata classica (“Red Clouds”) da far percepire come incredibile quanta distanza sia intercorsa dagli esordi.
Stesso canovaccio sonoro anche per A New Context (2023), caratterizzato da un utilizzo maggiore di registrazioni ambientali e, in generale, da un suono più bucolico, come la copertina lascia intendere, mostrando una foto di campagna. La natura diventa il tema principale: una mattinata piovosa (“Another Morning Rain”), una passeggiata in bici tra i campi (“The Bicycle Waltz”), le stagioni che cambiano (“November Skies”, “A Summer Waltz”).
La crisi di idee viene ribadita da Leaves (2023), che vede il ritorno di Julia Kent e dei consueti duetti tra violoncello e piano (“Roots”), stavolta più vicini al suono atmosferico di Patterns (Revisited), come dimostrano brani come “Mercy” e “Through Glass”.