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Libano, tregua e spari. “Ora pace anche a Gaza”


Libano, tregua e spari. "Ora pace anche a Gaza"

Dal Libano a Gaza, la voglia di tregua si fa contagiosa, tanto che Hamas annuncia di essere pronto a «collaborare a ogni sforzo» per raggiungerla e il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, spiega che la sua amministrazione nei prossimi giorni «farà un altro sforzo insieme a Turchia, Egitto, Qatar, Israele e altri per un cessate il fuoco nella Striscia, con il rilascio degli ostaggi e la fine della guerra, senza Hamas al potere». Biden vuole che lo stop al conflitto sia la sua eredità di fine mandato, anche se resta al fianco di Israele approvando nel frattempo la vendita di 680 milioni di dollari di armi di precisione allo Stato ebraico.

C’è ottimismo dopo il primo giorno di tregua ieri in Libano, salutato con grandi festeggiamenti dalla popolazione. Il cessate il fuoco ha funzionato, nonostante l’esercito israeliano abbia sparato colpi di avvertimento per evitare l’avvicinamento dei civili ai villaggi di confine del sud abbia ferito due giornalisti a Khiam, un reporter dell’Ap e uno di Sputnik. Ma è una tregua fragilissima. Con l’annuncio dello stop alle armi di 60 giorni fra Israele e Hezbollah, scattato alle 4 del mattino (le 3 ora italiana), migliaia di sfollati libanesi si sono diretti verso sud, con l’obiettivo di tornare nelle proprie abitazioni, nonostante la devastazione. Ma la prima fase dell’accordo non lo prevede. Contempla invece che l’esercito libanese, come sta accadendo, potenzi la sua presenza a sud del fiume Litani. Per questo i civili sono stati invitati dalle autorità di Israele e Libano a non avvicinarsi all’esercito israeliano, che si trova ancora in zona, punta a un ritiro graduale e ha bloccato l’ingresso degli sfollati ad alcuni villaggi. La voglia di un ritorno alla normalità è dirompente ma i rischi sono ancora molto alti. Se il primo ministro libanese Najib Mikati ha chiesto ai libanesi «unità dopo la fase più crudele della storia del Paese», se ha invitato Israele a «rispettare» il cessate il fuoco e ritirarsi dalle zone di confine (l’intesa prevede 60 giorni), il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, hanno dato istruzioni all’esercito di impedire alla popolazione di entrare nei villaggi al confine sud, in conformità con la prima fase di attuazione del piano. Katz ha anche ordinato all’esercito «di agire con forza e senza compromessi» per impedire a membri di Hezbollah di infiltrarsi, come successo a Kfarkila. «Se mettono in pericolo le truppe dell’Idf, devono essere colpiti», ha spiegato il ministro. L’Idf ha già arrestato quattro combattenti, tra cui un comandante locale, entrati nell’area vietata. E poco prima dell’inizio della tregua, oltre a duri raid su Beirut hanno messo a segno un colpaccio: con cento bombe, molte anti-bunker, hanno polverizzato la fabbrica supersegreta di missili terra-superficie di Hezbollah nel nord.

«L’obiettivo supremo» del governo israeliano dopo la tregua, tuttavia, è il rilascio degli ostaggi ancora a Gaza, ha spiegato Katz. L’entusiasmo per l’accordo in Libano rimanda inevitabilmente all’altro fronte di guerra aperto, quello nella Striscia, il più sanguinoso (oltre 44mila morti). Le famiglie degli ostaggi hanno protestato sedendosi per terra davanti all’ufficio di Netanyahu alla Knesset: «Restituiteci i nostri cari, fate l’accordo come in Libano», chiedono a gran voce.

L’intesa sarà un banco di prova. Hezbollah intanto rivendica la vittoria, annuncia di restare «pronto contro il nemico» e fa sapere che ci sarà un funerale pubblico per l’ex leader Nasrallah, ucciso due mesi fa in un attacco israeliano in Libano.


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