L’ex ferroviere che fa più belle le vie della città piantando fiori – Cronaca
BOLZANO. Franco Tranquillini scorre il dito lungo la tabella che conserva come una reliquia in una busta plastificata. Indica la prima riga: «Al civico 68 di via Milano mi aiuta un commerciante a tenere in vita i miei giaggioli. In piazza Adriano stanno nascendo delle bellissime gerbere. Qui invece – spiega puntando l’indice su viale Europa – il mio lavoro non è più di tanto gradito. Un giorno uscì il direttore di una banca e mi disse che stavo disturbando la clientela».
Ottantotto anni, ex ferroviere, volto noto di via Palermo, dove vive con la moglie dal 1973, Franco Tranquillini si prende cura di 114 fioriere sparse in giro per la città, lungo i marciapiedi e davanti ai negozi. Se da quelle vasche di cemento esce del verde è merito suo. Ha l’energia di un ragazzino. Quasi ogni giorno monta in sella alla sua bicicletta e controlla il terriccio. Troppo spesso la gente confonde i “suoi” vasi con dei bidoni e lui, munito di sacchetto, si trova a raccogliere cartacce, sigarette, bottiglie di birra.
Tranquillini, come nasce questo volontariato verde?
Era il 13 marzo 2018. Mi trovavo in via Visitazione, davanti a un bar gestito da una famiglia cinese. A circondare l’ingresso cinque fioriere completamente spoglie. Mi ero sempre chiesto come mai fossero state abbandonate così. Domandai ai titolari se potevo metterci mano. Mi diedero carta bianca. Da quel pomeriggio curare le piante è diventata quasi una dipendenza. Questa città mi ha accolto, ora me ne prendo cura.
Lei è nato a Mori.
Mi diplomai a Rovereto, tre anni di apprendistato. Nel 1957 feci domanda per un posto nelle ferrovie. Nel frattempo mi spedirono a fare il militare a Napoli: volevo tornare su al più presto. Mi presero alla fabbrica “Radi”, che allora produceva scaldabagni e termosanitari. Un mese dopo arrivò la proposta per fare il capotreno a Bolzano. Otto lunghissimi anni da pendolare…quante notti insonni. Poi mi sposai. Io e mia moglie ci trasferimmo stabilmente. Prima in piazza Adriano. Poi in via Palermo.
Ritorniamo alla passione per le piante.
Prima che le ruspe ci passassero sopra e ci costruissero un parcheggio, mi prendevo cura di un orto ai Piani. Erano gli anni ’80. I tranvieri potevano disporre di un orto, c’erano molti terreni da coltivare. Le grandi industrie ancora non erano pensate. Ogni giorno andavo a prendere le verdure e i pomodori freschi. Bei tempi.
Il senso civico oggi sta venendo a mancare?
Trovo una situazione peggiorata, senza dubbio, ma non nascondiamoci: gli incivili ci sono sempre stati. E ci saranno sempre, se chi trasgredisce poi resta impunito. Non parlo di tagliare mani o teste, ma è una vergogna che certa gente sporchi la nostra città senza conseguenze. Serve un cambio di passo a livello culturale.
Cosa trova dentro i suoi vasi?
Cartacce e bottiglie di vetro, soprattutto. Mi viene naturale toglierle da lì e buttarle via. Quando io non ci sono mi danno una mano alcuni commercianti, soprattutto in via Gaismair e in via Milano. Centoquattordici fioriere. Non è difficile starci dietro?
Serve impegno e dedizione. Sono tutte sparse tra Don Bosco e Europa-Novacella. Contengono soprattutto gerbere, giaggioli e “belle di notte”. Tutte molto semplici da piantare. E durano diversi anni. Come tutte le cose però bisogna prendersene cura.
In strada il suo lavoro da giardiniere volontario viene apprezzato?
Il Comune non l’ho mai sentito. Le belle parole arrivano da qualche passante, ma c’è anche molta gente invidiosa. Alcuni si rivolgono a me con delle battutine. Mi dicono che i fiori ormai sono superati. Mi chiedono se non ho nulla di meglio di fare. Uccide di più la noia che il lavoro.
Bolzano è una città pulita?
C’è tanto volontariato a livello locale, ma si può sempre migliorare. Vedo deiezioni dei cani davanti ai negozi, che per me sono incomprensibili. Io faccio la mia piccola parte. Mi fermo e osservo. La società oggi è frenetica. La gente tante volte non si accorge nemmeno dove sta camminando o cosa c’è attorno.
Il suo segreto?
La fortuna (ride, ndr). Eravamo cinque fratelli, tre sono morti di tumore. Fumavano come delle ciminiere. Per vent’anni mi sono diviso tra le ferrate e le piste da sci. Oggi faccio lunghe camminate in montagna con un mio amico. Siamo coetanei. Nel weekend andremo sul Renon. La sera però devo tornare dalle mie piante».