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l’Europa dovrà pagare fino a 20 miliardi l’anno

D’ora in poi le armi statunitensi arriveranno a Kiev, il conto invece sarà recapitato a noi, paesi europei membri della Nato. Sono le condizioni poste dalla Casa Bianca per continuare a sostenere lo sforzo bellico dell’Ucraina ed arginare avanzata e mire russe. Trump è stato chiaro: “Manderemo i missili Patriot ma pagherà tutto l’Europa”. Non è del tutto corretto, secondo il New York Times: a pagare non saranno Nato o Ue ma i singoli paesi. La Germania si è già offerta di comprare due batterie patriot, la Norvegia una.

Sta di fatto che, oltre ai soldi per il riarmo, che va portato al 5% del Pil, Germania, Francia, Italia, etc, dovranno trovare più denaro anche per contrastare Mosca. Del resto, il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che “dal 1945 in poi l’Europa non è mai stata così in pericolo come lo è ora”. Di fronte a questa vera o presunta emergenza, inevitabili sacrifici sulla spesa pubblica diventano poca cosa.

Di quali cifre stiamo parlando? Un solo missile Patriot, prodotto dal colosso statunitense Raytheon, costa tra i 2 e i 4 milioni di euro a seconda della configurazione. Un lanciatore (ne monta 4) si paga una decina di milioni. Un’intera batteria, con radar, sistemi di intercettazione, mezzi di trasporto, etc, vale oltre un miliardo di euro. Secondo il Kiel Institute’s Ukraine Support Tracker, dall’inizio della guerra, nel febbraio 2022, gli Stati Uniti hanno speso complessivamente quasi 115 miliardi di euro in aiuti all’Ucraina. Di questi, quasi 65 miliardi di euro sono stati destinati alla fornitura di ordigni bellici.

Indicativamente, una ventina di miliardi all’anno solo per le armi per un tempo che si spera il più breve possibile ma che è difficilmente prevedibile. Sinora l’Unione europea ha speso per Kiev una sessantina di miliardi, per la maggior parte in forma di aiuti finanziari. Giova ricordare che l‘Italia è, sinora, uno dei paesi che meno si è impegnata per l’Ucraina con uno sforzo finanziario che supera di poco i 2 miliardi di euro, contro i 16 miliardi della Germania, i quasi 20 della Gran Bretagna, gli 8 dell’Olanda o i 7 della Francia. A quelli per la guerra, seguiranno i costi della ricostruzione, occasione d’oro per molte aziende private, ma per cui serviranno almeno 500 miliardi di euro, stando ai calcoli di Commissione Ue e Banca mondiale.

Non è un caso che tra le cancellerie europee torni a circolare l’idea di mettere le mani sui quei 300 miliardi di asset russi congelati e depositati tra Europa (200 miliardi circa) e Stati Uniti. Ma se questa mossa non è stata fatta in questi tre anni un motivo c’è. Le controindicazioni sono significative. La prima è il “rischio precedente”. Quelli depositati da Mosca in Europa sono soldi incassati vendendo gas e petrolio ai paesi Ue, non proventi di guerra. Se si desse il segnale che denaro posseduto in modo legittimo possa essere sequestrato per scelta politica europea, i paesi di tutto il mondo ne prenderebbero atto. Capitali cinesi, arabi o di altri paesi, cercherebbero probabilmente collocazione più sicure nel timore che qualche loro mossa geopolitica sgradita all’occidente possa far scattare un analogo sequestro.

È la ragione per cui anche istituzioni come la Banca centrale europea si sono sempre mostrate molto prudenti su questa possibilità. C’è poi un discorso di natura diplomatica. La “liberazione” degli asset attualmente congelati è un forte elemento in eventuali trattative con Mosca. Se i soldi venissero spesi, viceversa, ciò indurrebbe la Russia ad essere ancora più recalcitrante nel sedersi ad un tavolo negoziale.


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