Economia

L’Europa della chimica alla prova della transizione


L’Europa è a un bivio: accettare la deindustrializzazione o scegliere la strada della trasformazione. È la sfida rilanciata da Aidic, l’associazione italiana di ingegneria chimica, durante la tavola rotonda “Un futuro net-zero per la chimica in Europa” tenuta a Padova. Secondo il presidente Giuseppe Ricci, “la transizione energetica non è solo un cambio tecnologico, ma una ridefinizione dei modelli produttivi, economici e sociali. La riconversione è l’unica via per coniugare sostenibilità e competitività”.

Ricci ha illustrato il modello delle “tre C”: consapevolezza che alcuni settori – come la raffinazione o la chimica di base tradizionale – sono entrati in una crisi strutturale; coraggio di cambiare, investendo in nuove filiere e tecnologie; capacità di tenere insieme sostenibilità ambientale, economica e sociale, evitando gli squilibri che oggi penalizzano comparti come l’automotive europeo.

Il quadro energetico resta critico. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), i prezzi dell’elettricità per le industrie energivore europee sono il doppio rispetto agli Stati Uniti e il 50% superiori a quelli cinesi, mentre il gas costa fino a quattro volte di più. Una distorsione che, se non affrontata, rischia di spingere verso delocalizzazioni e perdita di occupazione qualificata.

La risposta di Bruxelles passa per il Clean Industrial Deal, che mobiliterà oltre 100 miliardi di euro a sostegno della manifattura pulita e si integrerà con il Green Deal Industrial Plan e il Net Zero Industry Act. In questo scenario, la chimica è destinata a giocare un ruolo decisivo: con 1,2 milioni di addetti e 655 miliardi di euro di fatturato, il settore può agire da “catalizzatore dell’innovazione” e abilitare la transizione tecnologica lungo tutta la filiera industriale.

Secondo Ricci, “le decisioni prese nei prossimi 3-5 anni determineranno se l’Europa saprà trasformare le proprie industrie o le perderà definitivamente”. Servono un quadro regolatorio stabile, accesso a materie prime sostenibili e incentivi per innovazione e infrastrutture.

I segnali non mancano: gli investimenti annunciati dalle principali aziende chimiche europee superano già i 50 miliardi di euro, mentre il mercato delle plastiche riciclate è destinato a raddoppiare entro il 2033. La rivoluzione in corso si fonda su tre direttrici: transizione energetica, con rinnovabili e tecnologie ad alta efficienza; circolarità, attraverso il riciclo chimico e meccanico; e chimica bio, basata su biomasse e processi sostenibili.

Anche l’Italia, con un’industria chimica da 66 miliardi di euro di fatturato e 120.000 addetti, è chiamata a giocare un ruolo strategico. Versalis (Eni) ha avviato un piano di investimenti da 2 miliardi per riconvertire gli impianti di Brindisi, Priolo, Ragusa e Porto Marghera verso bioplastiche, bioraffinerie e riciclo. “Abbiamo il dovere di dare un futuro ai lavoratori e ai siti industriali”, ha spiegato Vincenzo Maida, capo delle attività industriali di Versalis.

A Porto Marghera, dove è nata la prima bioraffineria Eni, prosegue la trasformazione verso il Saf, il carburante sostenibile per l’aviazione, mentre nasce il più grande hub italiano di idrogeno verde per il trasporto pubblico. Una rotta che unisce innovazione e occupazione, confermando che la transizione non può limitarsi alla tecnologia, ma deve restare ancorata ai territori e alle persone.


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