L’equilibrio necessario tra regolamentazione e innovazione
Internet era partita come una storia di libertà. Sembrava la fine delle frontiere, l’inizio di un mondo dove ciascuno poteva dire la sua. Oggi, di quella stagione resta un ricordo un po’ ingenuo. Lo spazio digitale è nelle mani di pochi soggetti privati che decidono chi parla, chi sparisce, chi viene premiato dagli algoritmi. È un potere nuovo, che non si impone con la forza ma con la logica dei dati, e che penetra nella vita quotidiana con la naturalezza di un’abitudine. Il costituzionalismo, nato per frenare lo Stato, si ritrova così davanti a un compito imprevisto: mettere limiti a poteri che non hanno confini e non rispondono più a un’idea pubblica.
È da qui che si muove Costituzionalismo digitale. Pensare la democrazia al tempo dell’Ai. L’idea è semplice, ma forse non banale: i diritti fondamentali non possono restare chiusi nei testi costituzionali, devono valere anche dove oggi si formano le opinioni e si esercita il potere, cioè online. Il libro parla di un «costituzionalismo digitale», un modo per riportare nel mondo degli algoritmi i principi che avevano guidato la nascita delle democrazie moderne: libertà, dignità, responsabilità.
Il confronto attraversa le due sponde dell’Atlantico. Negli Stati Uniti domina la fiducia quasi religiosa nel mercato delle idee e nel Primo Emendamento. L’Europa, al contrario, porta con sé la memoria delle sue ferite storiche e una cultura della libertà che non si separa dal limite. È da questo terreno che nascono strumenti come il GDPR, il Digital Services Act e, oggi, l’Ai Act. Sulla carta nascono non per frenare l’innovazione, ma per darle un contesto umano. Regolare non significa fermare: significa rendere sostenibile. In pratica il rischio è invece che, lungi dall’aver trovato un equilibrio tra regolamentazione e innovazione, l’effetto concreto della regolamentazione europea si traduca una insostenibile pesantezza della norma in grado di schiacciare l’innovazione europea.
Il libro costruisce una specie di mappa del potere digitale. Quattro punti cardinali: lo spazio, cioè la sovranità nel cyberspazio; i valori, diversi tra le due tradizioni; i soggetti, le grandi piattaforme che si comportano come autorità; e infine i rimedi, le risposte del diritto. In questa prospettiva il costituzionalismo cambia geometria: non più solo verticale, fra Stato e cittadini, ma anche orizzontale, fra privati che influenzano la libertà collettiva. È un passaggio culturale prima ancora che giuridico.
Ma la domanda è come regolare senza spegnere la spinta creativa. E soprattutto, come evitare che l’Europa resti fuori dal gioco. Perché se continua a scrivere regole perfette ma non investe, non rischia, finisce per assomigliare a un arbitro che fischia e nessuno ascolta. Servono norme, certo, ma anche capacità di azione, di innovazione, di presenza concreta nelle grandi scelte tecnologiche. Le regole, da sole, non bastano se chi le scrive non è dentro la partita.
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