Società

Leone XIV, il papa delle Americhe che potrebbe diventare il rivale globale di Donald Trump

La chiesa di Roma ha un nuovo Pontefice, e per la prima volta è un Papa americano. L’elezione di Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, avvenuta nella sorpresa generale, ha generato grande emozione negli Stati Uniti, in cui i cattolici rappresentano tra un quinto e un quarto della popolazione.

«È un grande onore sapere che è il primo Papa americano. Non vedo l’ora di incontrare Leone XIV. Sarà un momento molto significativo» si è congratulato con lui Donald Trump appena appresa la notizia dell’elezione.

Ma per quanto cercherà di presentare la sua nomina come un esempio ulteriore dell’America tornata «grande» sotto la sua guida, sono in pochi a pensare che l’elezione di Prevost possa rappresentare una vittoria per Trump. Il successore di Bergoglio, infatti, porta avanti una visione della Chiesa e del mondo ben lontana dalle idee del trumpismo e della destra conservatrice americana. Le prime, commosse, parole dal balcone di San Pietro in cui ha auspicato «una chiesa missionaria, vicina a coloro che soffrono» e che «costruisce ponti di dialogo», non potevano indicarlo in modo più chiaro.

Nato a Chicago da una famiglia di immigrati di origine europea, più che un Papa americano è un Papa «delle Americhe»: per vent’anni in Perù prima nella diocesi di Trujillo, poi come vescovo della città settentrionale di Chiclayo, la sua lunga esperienza missionaria lo avrebbe aiutato a farsi «ponte» fra il sud e il nord del mondo, riassumendo – dice chi ha lavorato con lui – il pragmatismo di un nordamericano e la sensibilità dei latinoamericani. Progressista su alcuni temi: migranti, clima e poveri ma più conservatore sui diritti civili, una cosa è certa: non fa sconti a nessuno.

Negli ultimi anni, attraverso tweet e retweet, Prevost ha toccato diversi temi scottanti della politica americana: dal controllo delle armi alla pena di morte, dai cambiamenti climatici all’omicidio di George Floyd, che nel 2020 innescò il movimento Black Lives Matter. Nel primo mandato di Trump aveva ripubblicato parole di opposizione al respingimento dei rifugiati e al divieto di ingresso negli Usa imposto ai cittadini di molti paesi musulmani. E in un post del febbraio scorso, diventato virale appena dopo la sua elezione, ha attaccato frontalmente il vicepresidente J.D. Vance – convertito al cattolicesimo in età adulta e portatore di una visione tradizionalista e conservatrice della religione – dicendo che «sbagliava» cercando di trovare una giustificazione teologica per il trattamento riservato  ai migranti, spiegando che «Gesù non ci chiede di dare un valore al nostro amore per gli altri». Il suo ultimo tweet, prima di entrare in Conclave, è una critica a Trump e al presidente salvadoregno Nayib Bukele per la deportazione e la detenzione di Kilmar Abrego Garcia, con un link a un articolo che paragona le sofferenze e le persecuzioni subite dalle comunità di immigrati e rifugiati alla Passione di Cristo.

Come prevedibile, la reazione della destra Maga (Make America Great Again) non si è fatta attendere: Steve Bannon lo ha definito senza mezzi termini un «Papa anti-Trump» e la politica-influencer cospirazionista di estrema destra Laura Loomer (quella che aveva diffuso in campagna elettorale la fake news sugli immigrati haitiani «che mangiano cani e gatti») lo ha bollato come «marxista» e «woke», uno da cui «i cattolici non hanno nulla di buono da aspettarsi».


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