Cultura

Lee Underwood – California Sigh (reissue) :: Le Recensioni di OndaRock

Un lungo connubio artistico, quello tra Tim Buckley e Lee Underwood, un rapporto artistico e professionale testimoniato dalla presenza di Lee come chitarrista e pianista non solo in ben sette dei nove album di Buckley ma anche nei vari album live (”Dream Letter”, “Live At Troubadour”, etc…), una collaborazione che ha avuto un certo rilievo anche nell’evoluzione dal folk al jazz e all’avanguardia del compianto e geniale autore americano.
Dopo la morte di Tim Buckley, Lee Underwood è diventato redattore di Downbeat, ha collaborato saltuariamente con alcuni artisti jazz e ha pubblicato nel 2003 e nel 2009 due album di solo piano (rispettivamente “Phantom Light” e “Gathering Light”). Questi due progetti non rappresentano in verità le uniche produzioni da solista: nel 1988 Underwood ha registrato solo su cassetta l’album “California Sigh”, unico lavoro in cui concentra l’attenzione sulla chitarra acustica.

Pubblicato in vinile dalla Drag City, con le interessanti noti biografiche di Byron Coley, il progetto si avvale della collaborazione di Steve Roach (synth), Chaz Smith (pedal steel) e Kevin Braheny (sax soprano). L’album è composto da ben undici pregevoli escursioni chitarristiche sulle orme di John Fahey e Alex De Grassi, caratterizzate da un’intensa spiritualità e da un’affascinante ascesi mistica. Le sonorità pastorali e crepuscolari sono impreziosite da un virtuosismo mai appariscente, alquanto colto e lontano da quegli stereotipi che hanno dato input alla deriva post-new age.
“California Sigh” è un disco che non sfigurerebbe nella prima produzione della Windham Hill di William Ackerman (“Seaview”), ma anche nel catalogo della Takoma (“Venice ‘68”). Le tonalità sono prevalentemente riflessive e meditative (“Gentle Rain”, “Aspen Trails”) e non mancano guizzi creativi in stile fingerpicking (“Lady Of The Stream”) o audaci incursioni nel jazz e nella musica classica (“Portals Of The Heart”).
L’album di Lee Underwood è profondamente ancorato nella miglior tradizione americana, è infatti possibile cogliere reminiscenze di Django Reinhardt nella splendida “Midnight Blue” o delicate contaminazioni cosmic-jazz (“Quietude Oasis” e la title track), il tutto all’insegna di una visione artistica apparentemente austera, viceversa esplorativa (“Little Desert Cat Feet”) nonché ardimentosa nella splendida incursione nel jazz di “The Other Side Of Sunny”, un brano che Underwood affida a un Kevin Braheny in estasi creativa.

Grazie alla Drag City per aver riportato alla luce questo prezioso documento musicale: il valore artistico di “California Sigh” va ben oltre quello puramente storico. La musica di Lee Underwood è baciata da talento e ispirazione, ma soprattutto suona attuale e vitale più di tanta produzione contemporanea.

03/08/2024




Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »