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Le quotazioni salgono ma non è tutto oro quel che luccica (e sale)

Le quotazioni dell’oro continuano a salire. Le ragioni? I mercati, che guardano all’oro nei momenti di instabilità, scommettono e speculano, e la politica, tra repubblicani americani nostalgici e Stati sovrani che vogliono ridurre le loro riserve in dollari. I risparmiatori? Devono sempre chiedersi se e di quanto le loro preferenze sono diverse da quelle dei mercati e della politica. È oramai qualche mese che i riflettori si sono progressivamente accesi sull’andamento del prezzo dell’oro, in continua ascesa. Partiamo da due numeri. Da un lato, in un anno il prezzo di una oncia d’oro sui mercati internazionali è passato da 1.947 dollari a 2.715 dollari, con un guadagno di quasi il 40 per cento. Nella scorsa primavera, quando l’esuberanza dell’oro ha avuto un primo picco di attenzione, e il suo valore era a 2.374 dollari, taluno prevedeva in un futuro non lontano il traguardo dei 4.000 dollari. Inoltre, l’andamento del prezzo è stato finora tendenzialmente lineare, nonostante le condizioni e le prospettive macroeconomiche si siano modificate, pensando soprattutto all’andamento dell’inflazione e a quello della politica monetaria della Fed. Dall’altro lato, guardiamo all’andamento di lungo periodo del rendimento reale dell’oro. Robert Barro – sistematicamente considerato come possibile candidato al premio Nobel – tempo fa realizzò una analisi econometrica utilizzando i prezzi dell’oro in un esteso arco temporale – dal 1836 al 2011 – scoprendo un rendimento reale medio pari a 110 punti base, con una banda di oscillazione i 10 punti base e i 210 punti base. Un rendimento, conclude lo studio, da attività finanziaria priva di rischio.

L’essere nel lungo periodo una attività a rischio zero è la proprietà che viene tradizionalmente attribuita all’oro. Ma, ci sono almeno due “ma”: uno dal punto di vista macroeconomico, altro più microeconomico.Dal punto di vista macroeconomico, la storia ci ha insegnato che quando l’oro è stato l’àncora del sistema monetario, gli effetti aggregati sui Paesi che quell’àncora adottava possono essere rappresentati con una moneta a due facce. La faccia buona è la stabilità monetaria. L’oro è un bene fisico, che può avere un utilizzo diverso da quello di esser moneta, per cui il suo prezzo sarà sempre positivo; inoltre, la sua quantità è relativamente scarsa. Di riflesso, se l’oro è moneta, diventa l’unità di conto in cui si esprimono i prezzi degli altri beni. Per cui, ogni qualvolta c’è una crescita della domanda di beni e servizi, c’è un parallelo aumento della domanda di moneta, quindi di oro e del suo prezzo, che automaticamente frena la salita degli altri prezzi. Insomma, l’oro diventa uno stabilizzatore automatico dei prezzi. Una analisi econometrica ha comparato i tre regimi monetari storicamente più importanti, caratterizzati istituzionalmente da: l’àncora aurea tra il 1881 ed il 1912; l’àncora dollaro, cioè Bretton Woods, tra il 1946 ed il 1970; senza àncora, cioè cambi flessibili, da allora fino al 1993. Il risultato è che la crescita dei prezzi nel secondo e terzo regime è stata rispettivamente di tre volte e di sette volte quella registrata durante il regime aureo.

La stabilità monetaria spiega perché il regime aureo è ancora oggi così popolare. Emblematico è il caso del partito repubblicano americano. Ad esempio, durante la presidenza Trump, una sua candidata alla Fed, Judy Shelton, era considerata dai media una storica fautrice del ritorno al tallone aureo. Ma il regime aureo ha anche una faccia cattiva: proprio perché la sua quantità è limitata, nelle fasi di espansione economica, quando occorre più moneta per sviluppare più scambi, mostra tutta la sua rigidità. Infatti, se si guarda la crescita economica, il regime aureo ha registrato performance pari a un terzo del regime Bretton Woods e alla metà del regime a cambi flessibili. Dal punto di vista microeconomico, la stabilità del valore reale dell’oro è tanto più incerta quanto si reduce l’orizzonte temporale di riferimento, in quanto automaticamente sul prezzo dell’oro si riverberano gli effetti dei cambi di preferenze, sia dal punto di vista economico, che come riflesso di un mutamento negli equilibri geopolitici. E’ quello che sta accadendo in questi mesi. Sul prezzo dell’oro si stanno riverberando ad esempio le conseguenze di scelte di Paesi sovrani – come la Cina, o la Russia – che devono o vogliono ridurre la dipendenza dei loro scambi, reali e finanziari, dal dollaro. Insomma, l’oro riluce, ma ci sono i “ma”. L’orizzonte temporale è cruciale. Che i risparmiatori lo ricordino sempre.


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