Le minacce sono soltanto un deterrente. Senza proxy a Teheran resta il terrorismo

Yaron Buskila è un ex ufficiale delle forze speciali israeliane e capo delle operazioni della divisione Gaza nella riserva. Oggi è un analista militare molto quotato e amministratore delegato dell’Idsf, forum israeliano di politica e sicurezza nazionale. Lo abbiamo intervistato sul conflitto in corso tra Israele e Iran.
In che misura i primi attacchi di Israele hanno danneggiato le capacità nucleari dell’Iran?
«In questa fase è difficile determinare con certezza l’entità del danno inflitto alle capacità nucleari dell’Iran, poiché molte informazioni rimangono classificate o ancora in fase di valutazione. Tuttavia, ritengo che le operazioni di Israele abbiano avuto un impatto significativo sul programma, colpendo i pochi scienziati chiave in grado di portarlo avanti, danneggiando strutture nucleari critiche in tutto l’Iran, interrompendo le infrastrutture logistiche e minando i sistemi di comando, controllo e industriali che supportano il progetto nucleare iraniano. A quanto pare, si tratta di attacchi strategici che potrebbero ritardare notevolmente la capacità dell’Iran di sviluppare un’arma nucleare nel prossimo futuro».
L’Iran ha effettuato in risposta una serie di attacchi missilistici in Israele, qual è la forza militare di cui dispone la Repubblica islamica?
«L’Iran possiede notevoli capacità militari tra cui un arsenale di missili balistici a lungo raggio, la Forza Quds delle Guardie Rivoluzionarie e un apparato terroristico globale gestito attraverso proxy come
Hezbollah, Hamas e gli Houthi. Detto questo, come ha dimostrato il recente attacco, la capacità dell’Iran di condurre una guerra diretta contro Israele, al di là degli attacchi missilistici, è limitata, soprattutto a causa della superiorità tecnologica e di intelligence di Israele e della forza delle sue alleanze. Ritengo che l’Iran continuerà a fare affidamento sui suoi proxy, ma non si può escludere un’ulteriore escalation diretta».
Pensa che questa guerra possa innescare un cambio di regime in Iran innescando una reazione del popolo iraniano?
«È difficile prevedere se l’attuale conflitto porterà a un cambio di regime in Iran. Tuttavia, gli ultimi anni hanno mostrato un forte calo del sostegno pubblico al regime, soprattutto tra le giovani generazioni. Se le pressioni economiche, militari e interne persistono, credo che non si debba scartare la possibilità di una trasformazione politica. Mentre il regime si indebolisce, il potere della strada iraniana potrebbe rafforzarsi».
Houthi, Hamas ed Hezbollah sono stati indeboliti dalle azioni israeliane degli ultimi mesi, secondo lei potrebbero comunque intervenire a sostegno dell’Iran?
«Come possiamo vedere, il panorama regionale sta cambiando. Hamas ha subito pesanti perdite, Hezbollah è sottoposto a crescenti pressioni interne al Libano e gli Houthi perdono quotidianamente risorse. L’Iran potrebbe tentare di attivare forze alternative in Irak o in Siria, ma le loro capacità operative sono limitate. Potrebbe anche intensificare gli sforzi nel dominio
cibernetico o attraverso il terrorismo non strutturato in Paesi terzi».
L’Iran ha dichiarato che attaccherà le basi militari statunitensi nella regione, pensa che questo possa portare a un coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto?
«Le minacce dell’Iran contro le basi americane rappresentano una pericolosa escalation, ma anche una mossa calcolata, volta più a scoraggiare che ad accendere un confronto diretto con gli Stati Uniti. La leadership di Teheran è consapevole che un attacco diretto alle forze americane potrebbe cambiare le regole del gioco e provocare una potente risposta militare statunitense. Detto questo, il rischio di errori di calcolo è reale. Un attacco – sia esso intenzionale o attraverso uno dei proxy regionali dell’Iran come Hezbollah, gli Houthi o le milizie irachene – potrebbe causare vittime americane.
Anche se non era questo l’intento originario, gli Stati Uniti potrebbero trovarsi costretti a rispondere militarmente, non per scelta strategica ma per necessità. Pertanto, esiste un rischio significativo che il conflitto possa degenerare in un coinvolgimento regionale più ampio, potenzialmente in grado di coinvolgere più direttamente gli Stati Uniti».
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