Economia

Le filiere italiane generano 2.600 miliardi. Ma il vero valore è nelle competenze condivise


MILANO – Valgono 2.600 miliardi, generano 500 miliardi di export e impiegano oltre 17 milioni di persone. Sono le filiere produttive italiane, luoghi dove, oltre ai numeri, nascono e si sviluppano forme di cultura di impresa, leadership e piattaforme dati condivise che rappresentano il vero motore di crescita.

Non solo investimenti, ma anche competenze

“Il nostro sistema produttivo ha gli asset per abitare il futuro: creatività, tecnologia, filiere che generano valore”, afferma Stefano Cuzzilla, presidente di 4.Manager. “Quando saperi e competenze circolano, il sistema diventa generativo, non estrattivo: entra uno e può uscire mille”.

I numeri raccolti nel settimo rapporto di 4.Management ne sono la prova. Le filiere a elevata rilevanza sistemica individuate dall’Istat – dall’agroalimentare all’energia, dalla farmaceutica all’abbigliamento, dalla meccanica all’Ict – generano oltre il 56% del valore aggiunto nazionale e il 67% dell’export, mostrando come la forza del Paese risieda nella capacità di integrare produzione, mercati internazionali e conoscenza.

Fronti su cui accelerare

Per sostenere questo modello di sviluppo, l’Italia deve accelerare su tre fronti: la digitalizzazione delle imprese e delle infrastrutture – un processo in corso, ma con livelli di adozione abbastanza contenuti – l’etica e la governance dell’intelligenza artificiale, temi strettamente legati alla cybersicurezza, e in ultimo le competenze manageriali.

Secondo gli esperti, c’è un disallineamento tra domanda e offerta di profili qualificati, soprattutto nelle posizioni ad alta complessità: nel 2024 quasi il 10% delle nuove assunzioni dirigenziali riguarda supply chain manager – profili che combinano competenze manageriali e specializzazioni in Ict, dati e sostenibilità – ma oltre il 50% delle imprese segnala difficoltà nel reperirli. A questo si aggiungono squilibri strutturali: oltre il 40% dei dirigenti ha più di 55 anni e solo il 22% è donna, fattori che limitano l’ingresso di nuove professionalità nei ruoli apicali.

“Dobbiamo rafforzare le leve che alimentano l’impresa 5.0, dalle politiche di filiera alla cultura d’impresa, dalle piattaforme condivise a una leadership capace di integrare persone e tecnologie. In questo modo l’IA diventa un vero moltiplicatore di crescita e posiziona il nostro Paese tra i protagonisti della competizione globale nella nuova economia della conoscenza”, chiosa Cuzzilla.


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