Umbria

le difficoltà delle ricercatrici, viste come problemi più che risorse


Donne e precariato nel mondo del lavoro. Le ricercatrici del Cnr Umbria scrvono alle istituzioni, alla presidente Stefania Proietti, alla presidente dell’assemblea legislativa Sarah Bistocchi e alla sindaca Vittoria Ferdinandi.

Riceviamo e pubblichiamo l’appello a firma di Maria Cristina Valeri e Daniele Chiappini:

“In relazione alla ricorrenza dell’8 marzo, cogliamo l’occasione per dare voce alle donne nella ricerca e alle problematiche che le stesse sono costrette ad affrontare. In Umbria, vivono e lavorano quasi 60 precari (degli oltre 4.000 a livello nazionale) nei sei istituti del CNR (IBBR, ISAFOM, IRPI, SCITEC e IOM) dei quali, circa la metà sono donne. Il precariato lede e logora la progettualità individuale, con particolare accanimento nei confronti delle donne che subiscono una malcelata disparità di genere. Da tempo cerchiamo di sottolineare come i contratti precari rendano difficile l’accesso ad un mutuo o ad un prestito per l’acquisto di una casa, di un’auto e qualsiasi investimento a lungo termine. Spesso risulta complicato anche sottoscrivere un contratto di affitto senza avere un tempo indeterminato. In questo scenario, costruire una famiglia diventa un sogno irrealizzabile, con la necessità di spostarsi continuamente in Italia o all’estero per contratti della durata a volte anche di pochi mesi. Nessun potere decisionale, nessuna possibilità di scelta. Il precariato è un peso ancora più grande per le donne in quanto alcuni contratti non prevedono la tutela della maternità, mentre quelli che la prevedono sono spesso brevi e si rischia di rimanere senza copertura o essere abbandonate dopo la maternità. Insostenibili difficoltà sono affrontate da chi ha già dei figli. Le donne nella ricerca sono costrette ad attendere anni prima di poter decidere di avere un figlio per paura di perdere il posto, di non essere tutelate dai contratti e di essere scartate, a parità di curriculum e merito, a favore di un concorrente di genere maschile. Il precariato è una zavorra che i ricercatori si portano dietro oltre i 40 anni, età alla quale spesso ci si ritrova senza lavoro, dopo anni di studio, formazione e sacrifici. Età che vede le donne poco appetibili nel mercato lavorativo. Se la fascia d’età dai 30 ai 40 anni vede l’uomo come risorsa che porta esperienza e background, non si può dire lo stesso delle donne, che vengono viste come bombe ad orologeria, pronte a sfornare figli e chiedere maternità e congedi. Per noi precari è impossibile decidere del nostro futuro, siamo ostaggi del nostro lavoro. In un paese dove si conferma ogni anno un drammatico calo demografico, è necessario tenere presenti le insostenibili difficoltà delle famiglie sorrette da contratti precari ed instabili. Noi precari siamo un peso per i nostri genitori, compagni e familiari che spesso si ritrovano a dover garantire per noi, mantenerci e supportarci economicamente. La situazione che si è venuta a creare e stratificare negli anni è molto grave. E se questo è il futuro del Cnr, noi non vogliamo un Cnr così nel nostro futuro”.


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