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Le battaglie trans e il mea culpa dei dem dopo la vittoria di Trump: “Abbiamo allontanato tutti”

Il partito democratico è alla disperata ricerca di nuove figure su cui puntare per galvanizzare l’elettorato in vista delle elezioni di midterm del 2026 e delle presidenziali del 2028. Prima di guardare al futuro il partito dell’asinello è impegnato a esaminare i motivi della debacle alle urne del novembre scorso, una fase necessaria per completare la lunga traversata nel deserto che lo aspetta.

Ad accendere i riflettori sull’autopsia della sconfitta elettorale che ha riportato Donald Trump alla Casa Bianca è il New York Times, il quale riferisce di come l’eccessiva attenzione dimostrata negli ultimi anni dai dem ai diritti delle persone trans abbia contribuito a spostare voti chiave verso il partito repubblicano o più semplicemente ad allontanarli dall’ampia coalizione multirazziale messa in piedi da Joe Biden nel 2020, scioltasi quattro anni dopo come neve al sole.

Non che la difesa delle istanze transgender sia l’unico motivo della sconfitta. Gli stessi strateghi dem ritengono però che, durante la campagna, gli attacchi del Gop alle posizioni sostenute dalla squadra dell’ex candidata alla presidenza Kamala Harris hanno colto nel segno. Nel 2024 i candidati del Gop e gruppi legati a esso hanno speso oltre 200 milioni di dollari in spot elettorali attaccando su tali questioni l’allora vicepresidente e candidati al Senato in competizioni in bilico in Ohio e in Montana. Blueprint, un sondaggio democratico post-elettorale, ha riscontrato che il 67% degli elettori più indecisi che ha scelto di votare per Trump nelle settimane precedenti al voto lo ha fatto perché ha ritenuto che il partito dell’asinello fosse troppo concentrato su “politiche identitarie”.

A riassumere la situazione è Greg Schultz, responsabile della campagna delle primarie del 2020 di Biden. “Ci impegniamo così tanto per rappresentare tutti e poi li allontaniamo”, afferma Schultz. I simpatizzanti del partito dell’asinello avrebbero in particolare percepito una grande attenzione alle problematiche delle persone transgender a discapito di altre. Ciò li avrebbe portati a non votare per Harris. Riconquistare il loro voto, avverte il New York Times, non sarà facile.

A partire da novembre, il quotidiano evidenzia che il dibattito tra i dem si è fatto particolarmente acceso sulla questione della partecipazione di persone transgender agli sport liceali e universitari. Subito dopo il suo ritorno alla casa Bianca, Trump, che ha emesso un ordine che impone al governo di definire il sesso in maniera esclusiva come maschio o femmina, ha lanciato un’iniziativa che impedisce a donne e ragazze trans di competere in sport femminili a scuola e nei college. Divieti sullo sport simili a quelli firmati da The Donald sono stati approvati anche in 27 Stati. E su tale fronte il Paese sembra appoggiare la Casa Bianca. Un sondaggio condotto a maggio dall’Associated Press mostra infatti che il 52% degli americani approvi la gestione del presidente delle questioni transgender, rispetto a un’approvazione del suo operato complessivo ferma al 41%.

Chi come il governatore democratico della California Gavin Newsom ha provato di recente a smarcarsi dalle posizioni ultra liberal del partito dell’asinello ha ricevuto numerosi attacchi e critiche da parte dei progressisti e della comunità LGBTQ+. Aime Wichtendahl, l’unica parlamentare transessuale dell’Iowa, ha messo in guardia i compagni di partito che cercano di prendere le distanze dallo spinoso argomento.

Gli elettori non voteranno per dei “diet republican” ma “per dei repubblicani e basta”, mette in guardia Wichtendahl. Parole che mostrano una volta di più che la traversata nel deserto per i dem è appena cominciata.


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