Le aree interne nell’inverno della glaciazione urbana
Non sembri strano e fuori tema affrontare il tema caldo dello spopolamento delle aree interne guardando per capire, non solo ai comuni che si fanno polvere, ma anche a quel dibattito antico e mai attualizzato ai tempi del fordismo che vedeva polarizzato la company town della Fiat di Valletta e la Ivrea dell’ingegnere. Da una parte Torino, idrovora di forza lavoro dal sud e dalle terre alte che franavano al basso nell’esodo del mondo dei vinti (Nuto Revelli), dall’altra Ivrea, città media con un fordismo dolce in rete di trasporti e biblioteche con i paesi della forza lavoro. Sappiamo bene come finì quella eterotopia urbanistica e di fabbrica. Vinse la company town anche se non consola che entrambe oggi non stanno al meglio. Lo aveva intuito Romano Alquati con la sua sociologia non convenzionale che invitava alla ricerca tiepida indagando come si lavorava in Olivetti. Invito attuale pur non bastando più il solo seguire fabbriche e scomposizione del diamante del lavoro per capire il tema drammatico che attraversa terre alte e terre basse della glaciazione demografica nella filiera urbano regionale dai comuni polvere alle città distretto sino alle aree metropolitane. Prima di inoltrarmi per capire in Val Ceno da Parma sino a Bardi passando per Varano, mi sono andato a rileggere “Casa d’altri”. Perturbante racconto del grande reggiano Comparoni del microcosmo di Montelice lassù in Appennino, dove la vecchia Zelinda e il giovane parroco intrecciano un dialogo muto e senza risposta tra il dogma del vivere e il non voler più sopravvivere nello spaesamento. Minimalismo esistenziale di Silvio D’arzo, vite minuscole, altro dalla Davos della “montagna incantata” del Covid di allora dove ci si interrogava sul senso del progresso. Due grandi libri che fanno da sfondo riflessivo al mio inoltrarmi nel disincanto sociologico della Val Ceno. Ci sono arrivato seguendo le tracce e la storia olivettiana dell’ingegnere Dallara fondatore dell’impresa radicata a Varano con i suoi prototipi da motor valley nel museo d’impresa della Accademy, con reti lunghe sino ad Indianapolis tessute da mille addetti, tanti su progettazione e ricerca. Racconta e sembra di essere tornati al dilemma fordismo hard fordismo dolce quando assunto in Fiat con l’impiego a vita tornò in valle e fondò con rischio e fatica la mitica impresa che è oggi l’impresa eccellente Dallara. Giampaolo e Angelica Dallara in empatia e simbiosi con il territorio, a cui riconoscono il valore aggiunto del successo avuto nel fare comunità operosa, restituiscono e lasciano la Fondazione Caterina Dallara con finalità di cura e accompagnamento del territorio. Mettendo al centro il nodo del neopopolamento se, come ci ricorda il demografo Mauro Manfredini, la Val Ceno dal 1951 al 2025 ha perso il 66,7% della popolazione, che se riunita tutta nello stadio di Parma che ne contiene 22.352 non lo riempirebbe che per un terzo. Non che lì in basso vada poi meglio se il sindaco Guerra ricorda che anche nella città media snodo di rete di food e motor valley, il tema giovani è in cima all’agenda politica. Si dispiega comune per comune risalendo da Varsi a Bardi passando da Varano con differenze di composizione sociale, abitanti e reddito. Il sismografo dell’abbandono si ferma e vibra verso la tenuta e fa argine con l’impresa a Varano. Dobbiamo fare argine mi dice Andrea Pontremoli l’amministratore delegato sodale olivettiano con Dallara. A lui dedicai un microcosmo più di vent’anni fa quando dirigente IBM mi colpì con la sua eterotopia raccontandomi quanto con la rete il suo piccolo comune dell’Appenino poteva evitare spaesamento. Il suo comune è Bardi dove viveva e vive e una figlia fa il sindaco. Con orgoglio da sviluppo locale ha ridisegnato e rivitalizzato il centro storico con un albergo diffuso. Piccole tracce di speranza raccontate da Bussone (UNCEM) e da Lupatelli che anima le terre alte della Bismantova nel Rapporto sulla Montagna. Nei 3417 comuni della montagna la popolazione in ingresso ha superato quella in uscita di quasi 100mila unità con dati da territori della polpa – nell’Appennino Settentrionale e nelle Alpi- e dell’osso nel centro del terremoto in transizione dal com’era al come sarà evidenziato da Fabio Renzi, e nel sud di Rubettino a cui dobbiamo la pubblicazione del rapporto sulla montagna. Deboli tracce da seguire e raccontare senza retoriche. Perché ho la sensazione che non basta né la risalita a salmone delle imprese, né l’albergo diffuso, né la rete comunicante se non voleranno le farfalle simbolo della Fondazione Caterina Dallara che con il loro battito possono provocare il terremoto da Varano ad Indianapolis interrogante il nostro modello di sviluppo.
Bonomi@aaster.it
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