L’avanzata nel Kursk e i colloqui con Witkoff dietro l’apertura di Mosca

Da Roma alla Terza Roma la parola d’ordine sembra ora negoziare. Ma attenzione, in guerra confidare nei miracoli non è mai troppo saggio. Proprio per questo sarebbe sbagliato illudersi che l’immagine di Trump e Zelensky intenti a parlottare sotto le volte di San Pietro basti – per quanto mistica e stupefacente – a cambiare i destini del mondo. O a salvare l’Ucraina. Quell’immagine è piuttosto il segnale di un cambiamento che nei giorni precedenti ha preso forma sull’asse Washington, Kiev e Mosca. Questo dato di fatto emerge in maniera abbastanza palese anche nella capitale russa. Lì Vladimir Putin (nella foto a destra) prima e il suo portavoce Dmitry Peskov poi fanno intendere di esser disponibili e interessati a un negoziato diretto con Kiev. Siamo pronti a negoziare «senza precondizioni» dichiara sabato il presidente russo. «Il lavoro va avanti anche se è troppo presto per parlarne», annuncia ieri Peskov aggiungendo che riguardo «molti elementi» le posizioni di Russia è Stati Uniti appaiono «coincidenti». L’ottimismo di Peskov e del suo capo possono apparire esagerati se letti alla luce delle accuse lanciate da Donald Trump poche ore dopo l’incontro con Zelensky. «Non c’era motivo per Putin di lanciare missili su aree civili, città e villaggi negli ultimi giorni. Mi fa pensare che forse non vuole fermare la guerra, mi sta solo prendendo in giro», scrive il presidente mentre l’Air One riporta negli Stati Uniti lui e Melania.
Ma per annusare l’aria che tira in questi giorni tra Mosca e Washington non bisogna soffermarsi soltanto sulle uscite dell’umorale Trump. Bisogna tener d’occhio anche le mosse – ben più concrete – di Steve Witkoff (nella foto a sinistra) il palazzinaro e amico di lunga data promosso a negoziatore di fiducia. Venerdì Witkoff arriva a Mosca e incontra per tre ore Vladimir Putin al Cremlino. Tre ore sono troppe per discutere posizioni antitetiche. Soprattutto quando dall’altra parte c’è un presidente che notoriamente non ama esporsi a dei contraddittori. Molto più probabile invece che quelle tre ore siano state impiegate per affinare le basi della trattativa. Non a caso sia Witkoff sia il Cremlino parlano di un colloquio costruttivo.
Ma ai colloqui positivi con l’inviato americano il Cremlino può aggiungere da sabato anche un altro elemento frutto dalla favorevole evoluzione del conflitto sul fronte del Kursk. Sabato infatti il Cremlino annuncia – nonostante le smentite ucraine – di aver costretto le truppe di Kiev al ritiro dall’ultimo avamposto ancora tenuto nella regione russa. Il successo ha implicazioni dirette anche sul fronte dei negoziati. Il «niet» più o meno esplicito opposto dal Cremlino a negoziati diretti era legato, fin qui, al rifiuto di Vladimir Putin di trattare la restituzione dei territori del Kursk. Anche perché questo significava scambiarli con parte dei territori conquistati in questi anni. Con la fine della presenza ucraina nel Kursk invece tutto cambia.
Una volta strappata agli ucraini quest’ultima carta negoziale il presidente russo ha la certezza di poter trattare da una posizione di assoluta superiorità militare e politica. E di dover concedere molto poco. Perché – come ripeteva il generale vietnamita Võ Nguyên Giáp – «nessuno può pensare di aggiudicarsi al tavolo dei negoziati quello che non ha conquistato sul campo di battaglia».
Source link