L’atletica nell’età del bicarbonato – la Repubblica

Cosa sia doping pare facile. Dal punto di vista giuridico, l’assunzione di sostanze contenute in una lista di prodotti vietati. Eccitanti, diuretici, anabolizzanti. Non ci sono equivoci. Sono dopanti quei prodotti considerati in grado di alterare un risultato, di far crescere cioè in modo sleale e scorretto il rendimento atletico durante una competizione.
Il punto è la definizione di slealtà, perché lungo una strada parallela alle prestazioni sportive corre la strada della ricerca scientifica e parascientifica, il lavoro di un ambiente nel quale possono convivere dotti medici e cialtroni. Nel migliore dei casi studiano per scoprire i limiti di un corpo umano, nel peggiore per cercare espedienti e stratagemmi.
Non era doping l’autoemotrasfusione quando apparve sulla scena sportiva degli anni Ottanta. Lo diventò. Così come non era considerato scorretto costruirsi una diabolica bicicletta per battere il record dell’ora. Oggi non si può. Erano soluzioni pensate per andare oltre i limiti conosciuti, per spingersi in un territorio nuovo. Questo fa l’umanità da sempre e in ogni caso, con la sua sete di conoscenza, con la frequentazione di vizi e di virtù.
A rileggere dopo tutti questi anni le parole dei vecchi ricercatori, si scoprono uomini che si dichiararono convinti di lavorare in nome del futuro e del progresso, dentro uno spazio grigio contenuto nel perimetro di regole fissate. A metà degli anni Ottanta, Mario Fossati scrisse su questo giornale che il ciclismo aveva voltato pagina, e gli fu immediatamente chiaro che “le antiche regole dell’antico sport ne usciranno sovvertite”.
Non è considerato doping neppure inalare monossido di carbonio per simulare l’allenamento in alta quota, ma dal febbraio scorso l’UCI ha messo dei limiti. Era un aiuto sleale? È stato giudicato pericoloso, e questo basta. Erano forse sleali i costumoni con i quali ai Mondiali di nuoto di Roma del 2009 furono battuti 43 record mondiali? E chi lo sa. Erano corazze intere in poliuretano chiamate LZR. Erano dei body idrodinamici che fecero cadere primati e barriere, azzerarono il senso del limite. Ancora oggi, dopo 16 anni, ce ne sono in vigore sette. Se fossero sporchi, sarebbero cancellati. Invece sono là. Perché nessuno stava violando le regole del tempo, ma le regole del tempo non erano pronte a considerare quell’aiuto come ingannevole.
Oggi il grande dilemma appartiene all’atletica leggera, lo sport nel quale fu possibile vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi nella maratona correndo scalzi [Abebe Bikila, 1960]. Diciannove delle venti maratone maschili più veloci e ventotto delle trenta femminili appartengono all’età nuova delle super scarpe, quelle calzature che hanno suole con una piastra di carbonio, in grado di ammortizzare l’impatto con la strada e restituire l’energia. Sono nate versioni per la pista: quelle per lo sprint, per il mezzofondo, per i salti. I miglioramenti degli ultimi anni sono sfacciati, ma a differenza dei costumoni messi al bando le scarpe sono diventate un prodotto di massa. Due anni fa è stato calcolato che alla maratona di Londra le avessero ai piedi 22 mila persone. È un fiume che non si può più arrestare, se non infliggendo infiniti lutti economici alle case produttrici. Il mondo è pieno di runner gratificati dai continui primati personali. Quattro ore e mezza sono considerate un buon tempo medio per una maratona amatoriale, ma domenica scorsa a Berlino il cantante Harry Styles è arrivato al traguardo sotto le tre ore, e un uomo ce l’ha fatta in tre ore e 40 travestito con un costume da lattina.
Come se non bastasse, l’atletica ha scoperto il potere del bicarbonato. È il nuovo Graal. Viene definito una risposta nuova a un vecchio problema. Gira sotto forma di gel dall’estate del 2023 e se ne giovano in particolar modo nel mezzofondo. Ha la funzione di contrastare l’arrivo dell’acido lattico. Dodici delle prime 20 prestazioni di sempre sugli 800 metri maschili sono arrivate negli ultimi due anni, così come in campo femminile 10 delle prime 16 sui 1.500, comprese quattro delle prime cinque.
La diffusione del bicarbonato è aumentata quando un’azienda svedese ha scoperto la dose giusta da prendere, la dose che mette al riparo dagli effetti indesiderati sul sistema digestivo. Chi lo assume regolarmente non ne fa mistero. Agli ultimi Mondiali di Tokyo ci sono stati 11 primati personali negli 800 metri femminili e quattro nei 1.500. In campo maschile certe vecchie gerarchie si stanno rimescolando forse pure per questo. Per la prima volta dal 1987 l’Africa non ha vinto nessuna delle gare che un tempo dominava: 1.500, 5.000, 10.000, 3.000 siepi.
Non c’è nulla di proibito in quanto accade, il punto è chiedersi se ci sia qualcosa di sleale, di disonesto. Ma se il bicarbonato possono prenderlo tutti: verso chi o verso cosa sarebbe sleale? Il bicarbonato non è l’epo. Aiuta a correre più velocemente, ma non è mai stato un motivo per proibire qualcosa. Dovremmo altrimenti vietare anche l’allenamento in altura e perfino la fisioterapia.
Insieme alle gambe corre però il bisogno periodico dell’umanità di ridefinire le parole, i concetti. Uno dei totem del nostro tempo è il bisogno di sincerità, che nella sua versione spinta diventa ossessione per il reale. È un malware che ha contagiato pure la narrativa, quel campo che dalla verità dovrebbe invece tenersi distante più di altri. Se questo è diventato il codice del nostro tempo, non sarà più la lealtà il bene da proteggere, ma la credibilità. In un mondo che però ci affascina quando ci lascia increduli: un gol da centrocampo, 6 metri e 30 saltati con un’asta, dieci triple su dieci a canestro. Va a finire che dovremo affidare l’antidoping a dei filosofi, anziché alla Wada.
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