Lazio

L’ascesa e la caduta di Peppe Molisso, “il Barba” della mala capitolina

Roma non vuole re. E chi osa incoronarsi sovrano della mala capitolina finisce travolto, schiacciato dal peso del proprio dominio.

Lo sa bene Giuseppe Molisso, classe 1982, per gli amici — e per chi lo temeva — semplicemente “il Barba“. Un soprannome diventato leggenda nei giri giusti e un’ombra lunga proiettata sull’intera criminalità romana.

Sarebbe potuto nascere tra le strade di New York, dove la sua famiglia aveva cercato fortuna e dove il fratello vide la luce sei anni prima. Ma il destino volle che Giuseppe venisse al mondo in Italia, da genitori napoletani. Il sangue partenopeo, caldo e viscerale, non lo ha mai abbandonato. Neppure quando, anni dopo, il potere lo avrebbe trasformato nel capo di uno dei gruppi criminali più potenti della Roma moderna.

Da ragazzino, Giuseppe era il classico figlio di periferia: occhi vispi, testa bassa, sempre pronto a imparare. Ma i suoi maestri non erano professori o educatori. Erano uomini di strada, come Michele ‘o Pazz, uno che nel quartiere non aveva bisogno di biglietti da visita. È sotto la sua ala che Molisso si fa le ossa, osservando, ascoltando, capendo quando parlare e, soprattutto, quando tacere.

Nel tempo, mentre tanti si perdevano nella polvere delle strade, lui iniziava a costruire il suo impero. Non voleva essere solo uno dei tanti. Voleva comandare. E così ha fatto. Con intelligenza, astuzia e una ferocia fredda, ha tessuto una rete di contatti, portando a Roma i meccanismi del narcotraffico globale. Cocaina, hashish, soldi sporchi, potere. Tutto passava per le sue mani.

Ma Giuseppe Molisso non era solo un criminale. Era uno stratega. Sapeva quando agire, quando restare nell’ombra, quando mostrare i muscoli e quando comprare il silenzio. Mentre le forze dell’ordine arrancavano dietro una mappa del crimine in continua evoluzione, lui avanzava, indisturbato, con lo sguardo puntato in alto.

Fino a quando la sua parabola ha cominciato a inclinarsi. La polvere bianca ha lasciato tracce, i collaboratori si sono moltiplicati, e le intercettazioni hanno fatto il resto. Gli inquirenti hanno iniziato a collegare i puntini. E il nome di Giuseppe Molisso ha smesso di essere solo un sussurro tra le strade, per diventare un dossier su una scrivania della Direzione Distrettuale Antimafia.

La caduta è arrivata come un colpo secco. Arresti, sequestri, processi. Eppure, per chi lo conosceva davvero, Giuseppe il Barba era ancora convinto di tornare. Di risalire. Come se il carcere fosse per lui solo una pausa in un disegno più grande.

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