Ambiente

l’architetto sociale nel contesto attuale”

Cosa serve a un’organizzazione che deve misurarsi con le molteplici variabili del mercato? Diverse componenti. Nella lista non può mancare una voce, quella relativa alla leadership. Che dovrebbe essere saggia, diffusa e condivisa, attribuibile non soltanto al classico “capo” ma a chiunque sia in grado di trasformare il contesto in cui opera portandolo su una traiettoria di evoluzione positiva e sostenibile. Ciò che si chiede alle figure di responsabilità in azienda, in altre parole, è la capacità di cambiare il modo di intendere la realtà che ci circonda – tanto più se incerta, paradossale e ambigua – per imparare a esercitare un impatto positivo su di essa.

È la riflessione che anima il nuovo saggio, edito da Egea, di Alessandro Cravera, fondatore e Senior Partner di Newton (nonché membro della Faculty dell’Executive MBA di ALTIS Università Cattolica e dell’EMBA di 24 Ore Business School). “Essere leader in un mondo complesso”, questo il titolo del libro, è una lettura che invita a capire in modo più approfondito il concetto di leadership, inquadrandolo storicamente e culturalmente e spiegando come la sua percezione non si sia ancora adattata al nuovo contesto in cui viviamo e lavoriamo.

Oggi si considera ancora leader chiunque abbia un ruolo di comando e/o riesca a creare un gruppo di follower che risponde alle sue indicazioni, una figura che detiene un potere formale o che indica una direzione da seguire e crea seguaci al suo seguito. Ma il leader può essere positivo o negativo, seguire una direzione etica o meno, e questa ambiguità, secondo Cravera, è troppo pericolosa, anche perché nel mondo interconnesso e interdipendente come quello attuale ogni strategia adottata da chi ha un ruolo guida può avere effetti sistemici molto più ampi rispetto al passato.

Può essere difficile pensare a un manager come a un “architetto sociale” che orienta comportamenti etici e sostenibili, slegandosi dall’idea del comando… Chi sono, anzi come sono, i leader che guidano oggi le imprese?

Vorrei sgombrare il campo da un possibile equivoco. Quando descrivo il leader come un architetto sociale che si muove in una prospettiva di bene comune non immagino un manager-filosofo disinteressato al business, tutt’altro. Il punto centrale che occorre sottolineare è che il classico manager/capo che esercita il suo ruolo con un approccio tradizionale di comando e controllo e pensa solo a raggiungere gli obiettivi assegnati, costi quel che costi, è oggi totalmente disfunzionale per il successo dell’azienda. Nell’attuale contesto, occorre superare la gestione per obiettivi e iniziare a ragionare per relazioni di obiettivi, ovvero fare trade-off. Se ogni manager pensa solo a raggiungere il target assegnato, il rischio è che il sistema azienda subisca conseguenze negative. E uso l’espressione “architetto sociale” proprio perché la complessità e la velocità di cambiamento sono tali da rendere impossibile che l’azienda sia gestita centralmente da pochi decisori/capi lasciando a tutti gli altri collaboratori il ruolo di follower dal cervello spento.


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