Piemonte

L’appartamento in Aurora è il punto fermo di Elena Mazzi in cui confluisce il mondo

Quante voci si sentono entrando nell’enorme cortile del caseggiato dove abita Elena Mazzi? Uno spazio di lingue e culture diverse, di vite che risuonano raccontando le tante storie ospitate in questo blocco di case, grande quanto un isolato, in zona Aurora, di fronte allo scheletro monumentale e fascinoso delle ex Ogm. Quelle Officine Grandi Motori della Fiat superstiti in un ritaglio di città a pochi passi dal Ponte Mosca di Porta Palazzo, in mezzo a infinite strisce di murales e a residui di archeologia industriale su corso Vigevano. Una rigenerazione urbana inarrestabile che continua a cambiare il paesaggio. «Questo stabile fu costruito nei primi anni del Novecento per ospitare gli operai che lavoravano alle Ogm, piccoli spazi dove dormivano, con i bagni in comune, e per i pasti c’era la mensa interna della fabbrica», ci spiega Elena.

«È un’architettura meravigliosa, realizzata come quella delle Officine dall’architetto Pietro Fenoglio, figura centrale del liberty torinese. Poi sono diventate case popolari e negli anni Settanta c’è stata una grande ristrutturazione». Elena Mazzi è in partenza per Kiruna, in Svezia, «una città che stanno spostando, lì si trova la miniera di ferro più grande al mondo che, dopo oltre un secolo, è esaurita e sta facendo sprofondare il terreno. Così il 20 agosto sposteranno tutto di tre chilometri, chiesa compresa, e io voglio esserci».

Elena è sempre in viaggio, tra residenze ed esplorazioni. L’Artico nell’orizzonte degli ultimi anni, come tema del dottorato di ricerca che sta facendo a Villa Arson a Nizza. Di fianco al portatile noto una Lonely Planet sulla Groenlandia e un libro di Marzio G. Mian dal titolo “Artico. La battaglia per il Grande Nord” (Neri Pozza). In risposta al mio sguardo, mi racconta che a settembre si sposterà poi a Narsaq in Groenlandia, «dove c’è un enorme giacimento di uranio e terre rare, una miniera potenziale la cui apertura da decenni viene bloccata dagli abitanti, ma ancora per poco. Per questo giacimento Trump vuole inglobare la Groenlandia».

Ogni progetto di Elena è un racconto multidisciplinare, «parto sempre da un territorio dove è successo qualcosa, una crisi, che io voglio indagare ascoltando le voci della comunità e spacchettando le scatole cinesi». Il suo percorso artistico è una mappa geografica in scrittura, testimoniata dai molti reperti che costellano la casa, una vera wunderkammer scientifica e poetica insieme, di ossa, pietre, vegetali, oggetti raccolti in giro. Come gli esploratori dell’Ottocento, con cui condivide anche la pratica del diario di viaggio fatto di note e disegni. Ecco coralli messicani, rocce islandesi, sassi croati, conchiglie veneziane e pellet di Kiruna. E poi vertebre di cetacei, balenottere e foche, una collezione iniziata in Islanda nel 2018, quando era andata per trovare un respiro in un momento difficile della sua vita, un tuffo in mare le aveva spezzato una vertebra. Da allora in Islanda è tornata spesso, sviluppando una serie di lavori su questo oggetto diventato per lei totemico. Su un ripiano, invece, forme organiche in pietra non sono reperti ma sculture, «modellini di spicule ingrandite, microrganismi alga dal corpo scheletrico capace di assorbire il CO2, una capacità di purificazione che rende alcune acque liguri pulitissime».

Poi arazzi, realizzati con la storica manifattura tessile Bonotto, «una collaborazione iniziata per un progetto con tessuti di plastiche riciclate e poi per opere che ho portato alla Biennale di Luleå in Svezia, sul tema del cambiamento dell’Artico. Lì ho conosciuto la comunità indigena Sami, con cui sto lavorando per raccontare quel territorio da un punto di vista diverso da quello coloniale». Il connubio tra casa e studio per Elena è completo, una dimensione che condivide con il marito Rosario Sorbello, anche lui artista, e la gatta Musetta. «Uno spazio dove vivo e lavoro, dove viene tanta gente, organizzo anche degli open studio ogni tanto. Posso chiudere la porta quando non ho più voglia di lavorare o aprirla anche per poco tempo, senza dovermi spostare. Quando vivevo a Venezia avevo una casa e uno studio, ed era faticoso». Quando è a casa, mi racconta che vive molto anche il quartiere, «popolare e vitale, con le sue difficoltà, dove molti artisti si stanno spostando, pieno di spazi in cui la cultura e il sociale si incontrano. Per esempio il Cecchi Point, la casa del quartiere Bagni Pubblici di via Agliè, la community hub Via Baltea». Vien voglia di uscire a passeggiare.


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