L’antidoto per non condannare l’Europa all’irrilevanza
Il potente discorso di Mario Draghi di fronte all’attenta platea di banchieri ed imprenditori riuniti al Forum Cotec a Coimbra ha tolto ogni illusione a chi tutt’oggi ritiene che posporre ogni decisione sia la strategia vincente per questa Europa così frammentata e litigiosa. In piena sintonia con il Presidente Mattarella, Draghi ha scandito ben chiaro che da questa situazione, creata dalla volontà di Trump di abbandonare ogni multilateralismo per percorrere in solitudine la via del conflitto generalizzato, non si torna indietro. È quindi questo il momento delle decisioni: di fronte ad esse nessuno può farsi trovare addormentato – come ha enfatizzato il nostro Capo dello Stato – e nessuno può tenere i piedi in due o più staffe.
Non a caso Draghi e Mattarella hanno scelto il palco di Cotec per lanciare un messaggio così netto: COoperacion TECnologica è la fondazione lanciata in Spagna 30 anni fa d’allora Re di Spagna Juan Carlos – poi replicata in Italia e Portogallo – per accelerare l’innovazione e la cooperazione fra banche, imprese ed istituzioni pubbliche nelle aree in ritardo del Sud Europa. Oggi, mentre si stringe il patto tra Francia, Germania e Polonia, lo spazio per i paesi del Sud Europa rischia di chiudersi. Italia, Spagna e Portogallo si trovano stretti da un lato dalla scelta di Trump di erigere dazi alle importazioni – che colpisce soprattutto chi ha puntato la propria crescita sulle esportazioni- e dall’altro dal rischio che i paesi del Nord Europa decidano di giocare in proprio il loro peso strategico, quindi fuori dal contesto Comunitario.
Il Discorso di Draghi è qui ancor più stringente. Dalla metà degli anni novanta alla crisi del 2008 l’Unione europea ha conosciuto tassi di crescita annuali più alti del resto del mondo, grazie alla coraggiosa scelta della moneta unica e dell’allargamento ad Est, due politiche che dichiaravano finito l’assetto uscito dalla Seconda Guerra Mondiale. Con la crisi del 2008, invece, ogni paese ha cercato vie proprie per uscire dalla crisi, inseguendo estinti sovranismi e condannandosi così ad agire sui ritagli del mercato mondiale.
Non c’è più tempo per giocare ognuno in proprio – afferma Draghi- ma è tempo di realizzare insieme un nuovo salto d’integrazione. Il Fondo Monetario prevede una recessione interna agli USA, e quindi le imprese europee dovranno trovare un’alternativa per i propri prodotti al ricco mercato dei consumatori americani. Per mantenere la crescita dell’economia europea, Draghi vede così come unica soluzione un aumento dei consumi interni, che implica un aumento dei salari e quindi un riorientamento della competitività delle imprese dell’Unione. Egualmente bisogna sostenere un aumento degli investimenti privati e pubblici soprattutto in competenze e tecnologie – e quindi in cooperazione tecnologica per riprendere proprio il mandato di Cotec- verso quegli ambiti della digitalizzazione, della decarbonizzazione e delle comunicazioni, in cui l’Europa è più dipendente dagli Stati Uniti.
Qui si inserisce certamente la questione, che Draghi e Mattarella hanno affrontato a viso aperto, della difesa comune, che è stata fin dai primi anni cinquanta all’origine stessa della cooperazione europea. Oggi, però la prima voce della difesa europea è recuperare piena autonomia nelle nostre comunicazioni in rete e via satellite, oggi dominate da imprese americane, a partire da Google – che dispone di oltre il 90 per cento del settore globale dei motori di ricerca – e da Starlink, che con oltre otto mila satelliti posti in orbita controlla il comparto di internet satellitare globale in banda larga. Questi sono i terreni su cui oggi bisogna prendere decisioni comuni e che in sintesi potremmo stilizzare nel principio che “per diminuire la dipendenza dell’Europa, dobbiamo aumentare l’interdipendenza fra Europei”. Questo è il cammino stretto che Draghi e Mattarella ci indicano, evidenziando entrambi che il rischio per tutti noi sta nel ricadere nell’irrilevanza economica e politica, come per altro si dimostra in questi giorni in cui l’Europa, che pure ha dato metà degli aiuti complessivi all’Ucraina, non viene neppure chiamata al tavolo di trattative che incideranno sul nostro stesso futuro.
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