L’Alcina di Händel al Teatro dell’opera di Roma è spiazzante e ipnotica
Martedì 18 marzo è stata una serata da ricordare per il Teatro dell’Opera di Roma: per la prima volta è stata rappresentata al Costanzi l’Alcina di Georg Friedrich Händel, per l’occasione trasmessa in diretta su Rai Radio3. Dopo il “Giulio Cesare in Egitto” della stagione 2022/2023, un’altra gemma barocca del genio tedesco, naturalizzato inglese.
Come ben raccontato nel sempre apprezzabile libretto di scena, l’opera è stata composta su libretto anonimo, ispirato da quello dell’opera L’isola di Alcina di Riccardo Broschi, a sua volta di ispirazione ariostesca (e Händel già si era confrontato con l’Orlando Furioso, in due opere precedenti, “Ariodante” e “Orlando”). Proprio a Roma il compositore fu protagonista, nel 1708, di una memorabile tenzone con il coetaneo Scarlatti. Differenti le versioni: per alcuni, si svolse al Palazzo della Cancelleria, nella residenza del Cardinale Ottoboni, per altri in quella del marchese Ruspoli (facendo una media delle fonti, pare che Scarlatti fosse superiore al clavicembalo, ma Händel nettamente migliore all’organo).
Per quello che riguarda l’esecuzione dell’opera, guidata dal direttore Rinaldo Alessandrini, posso solo dire: un incanto assoluto.
Tutta la grazia del tardo barocco è emersa nella tessitura orchestrale, nelle calibratissime interpretazioni: strepitosa soprano Mariangela Sicilia nel ruolo della protagonista, imponente il Ruggiero di Carlo Vistoli, commovente la Bradamante di Caterina Piva, convincente la Morgana di Mary Bevan, vivaci gli Oronte e Oberto, rispettivamente Anthony Gregory e Silvia Frigato, molto bravo Francesco Salvadori nell’aria di Melisso.
A un ascoltatore digiuno del gusto settecentesco, l’opera potrebbe apparire spiazzante e ipnotica: i pochi versi delle strofe di ciascuna aria sembrano, oltre che motore dell’intreccio a specchi della trama, più pretesto alla variazione continua, allo sfoggio magistrale del talento degli interpreti. Ecco la sfida: sentire sempre le stesse frasi con rinnovato stupore, poiché ogni volta porte allo spettatore con un’emozione diversa.
Come ha scritto molto precisamente Francesco Giudiceandrea sul sito GBOpera: “I da capo delle arie non sono solamente animati da stupefacenti variazioni atte a destare la meraviglia ma contribuiscono alla narrazione scenica o allo sviluppo dei sentimenti e dei pensieri che pervadono i personaggi, tenendo sempre alta l’attenzione del pubblico e conferendo unità e significato alla vicenda che in questo tipo di teatro potrebbe rischiare di diventare un catalogo frammentario di splendide arie fra loro slegate ed intercambiabili.
Mi perdonino i musicologi per la mia naïveté da ascoltatore onnivoro, ma nelle continue, fluttuanti mutazioni melodiche händeliane ho ritrovato non solo molto delle meraviglie musicali a lui coeve, ma soprattutto i vagìti profetici di opere di genio successive: chiaramente le cadenze regali e ieratiche di Purcell e Telemann, tantissimo del genio melodico mozartiano, accenti pre-beethoveniani, addirittura accenni proto-wagneriani, dissonanze che si ritrovano fino in Schönberg, per non parlare (ma qui sono certo che le mie verranno considerate esagerazioni) dei virtuosismi vocali, che mi hanno ricordato l’alap nei raga indiani, e di alcune chiusure melanconiche delle arie, in grado di toccare l’anima dell’ascoltatore come gli accordi più cupi del blues. Tutto questo, chiaramente in nuce, anticipato dal genio di Händel nella perfezione formale, nella gabbia stilistica dorata degli stilemi settecenteschi.
Profetica in questo senso la sentenza di Charles Burney su Alcina (tratta dal suo “A General History of Music” del 1789) riportata da Francesco Lora (nel già citato libretto di scena): “…se una qualsiasi opera di Händel dovesse essere restituita al palcoscenico…sembra che essa potrebbe prestarsi bene a un intento di scoperta”.
Torno a lodare, io spesso critico con gli irritanti allestimenti “moderni” delle opere classiche, il gusto e la misura del regista Pierre Audi (già apprezzatissimo per il “Tristan und Isolde” di alcuni anni fa) che, con semplici accorgimenti, riesce a restituire il senso di magia e del gioco dell’opera, alludendo al sottotesto erotico, senza scadere, quasi mai, nell’esplicito.
Alcina tornerà in scena martedì 25 (ore 19.00) e mercoledì 26 marzo (ore 19.00). Non perdete l’occasione di vivere tre ore e mezza immersi in un incanto che non vorreste finisse mai.
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