Cultura

La voce dell’amore – Omaggio a Julee Cruise

Qualcosa di profondamente misterioso – e infinitamente struggente – si nasconde nella voce di Julee Cruise. Un qualcosa che non ha niente a che fare con le epoche, con i generi musicali, con le mode. La sua è una voce fragile ed evocativa che sembra fluttuare nel tempo e nello spazio, come se arrivasse da un’altra dimensione. Una dimensione popolata da nani che parlano al contrario e agenti dell’FBI scomparsi nel nulla. In parole povere: una dimensione lynchiana.

Il cofanetto “Fall Float Love (Works 1989-1993)”, appena pubblicato dalla Cherry Red Records, racchiude in modo finalmente esaustivo e rispettoso i due capolavori nati dalla collaborazione tra Julee Cruise, il regista David Lynch e il compositore Angelo Badalamenti: “Floating Into The Night” (1989) e “The Voice Of Love” (1993), impreziositi da una manciata di remix e B-sides e dalle note di copertina curate da Frank Deserto, un esperto in materia post-punk. Un’opera importante, quasi necessaria, che restituisce luce a una delle voci più angelicate e tormentate dell’universo musicale degli ultimi quarant’anni.

La storia del sodalizio artistico che legò questo formidabile trio cominciò nel 1986, quando Lynch e Badalamenti erano alle prese con la colonna sonora di “Velluto Blu”. In una scena chiave del film, il regista avrebbe voluto usare la celeberrima cover di “Song To The Siren” dei This Mortal Coil, ma i diritti d’autore erano fuori portata. Fu così che Badalamenti propose di scrivere un brano simile da far interpretare a una cantante in grado di evocare le stesse atmosfere, quindi con un tocco alla Elizabeth Fraser. Scelse Julee Cruise, che aveva conosciuto anni prima a New York durante un workshop teatrale. Il risultato finale fu “Mysteries of Love”, una ballata sognante e surreale, capace di mettere i brividi ancora oggi. Lynch e Badalamenti, colpiti dal risultato, decisero di andare oltre e allargare la collaborazione: nacque così “Floating Into The Night”.

Fu Lynch a scrivere i testi, mentre Badalamenti si occupò delle musiche. A Cruise il compito, tutt’altro che facile, di far vivere spiccare il volo a quei brani con la sua voce impalpabile, fragile, quasi evanescente. Il prodotto finale? Una forma di musica pop inclassificabile, fuori posto ovunque sul finire degli anni ‘80. Le radio non sapevano come programmarla: non era pop, non era jazz, non era lounge, non era elettronica. Era semplicemente troppo avanti. Troppo pura. Troppo altra. Oggi potremmo etichettarla come dream pop lynchiano, ma forse sbaglieremmo comunque. Meglio lasciare tutto sotto un velo di mistero.

Nonostante i dubbi iniziali – anche da parte della stessa Cruise, che ricevette opinioni negative da amici e parenti – “Floating Into The Night” divenne un piccolo cult. Una collezione di sogni (e incubi) in musica, sospesi tra gli anni ‘50 e il futuro, tra l’America delle big band e quella fuori dall’ordinario di David Lynch. Le orchestrazioni jazz si fondono con riverberi cosmici e synth sognanti in un dream pop tanto vintage quanto in anticipo sui tempi, impreziosito da una malinconia profondissima ma quasi palpabile.

Molti dei brani finiranno per legarsi in maniera indissolubile all’universo lynchiano: “Mysteries Of Love” era già stata inclusa nella soundtrack di “Velluto Blu”, mentre “Falling”  – nella sua versione strumentale – diventerà il celeberrimo tema principale di “Twin Peaks”, la cui prima puntata debuttò in TV qualche mese dopo l’uscita del disco. Altri pezzi, come “Rockin’ Back Inside My Heart”, “Into the Night” e “The World Spins”, compariranno in una performance teatrale intitolata “Industrial Symphony No. 1: The Dream Of The Brokenhearted” e nella serie televisiva già citata, contribuendo a definire le sue atmosfere ipnotiche e crepuscolari. Perché, in fin dei conti, è come se la voce di Julee Cruise fosse proprio quella di Laura Palmer: un sussurro proveniente dalla Loggia Nera, il canto che si ode quando il velo tra i due mondi si assottiglia.

Il secondo disco incluso nel cofanetto, “The Voice Of Love”, arrivò nei negozi nel 1993 e proseguì il discorso onirico aperto quattro anni prima con ancora maggiore coerenza (ma forse con un filo di magia in meno). L’album, strettamente legato al controverso film “Fuoco cammina con me”, il prequel di “Twin Peaks” che sbarcò nelle sale cinematografiche nel 1992, rappresenta la perfetta prosecuzione di “Floating Into The Night”: se l’esordio era una via verso un mondo fatto di sogni e turbamenti, “The Voice Of Love” ne è il prolungamento oscuro ma dolcissimo; una meditazione notturna in chiave jazz sulla perdita e sul desiderio.

Anche qui, la produzione di Badalamenti è sontuosa e rarefatta, mentre Lynch continua a scrivere testi che sembrano telegrammi dall’inconscio. Il suono dell’opera, seppur meno legato alla formula dream pop che era alla base dell’esordio, resta etereo ma mai freddo, intimo ma mai scoperto: una via di mezzo tra i Cocteau Twins e Roy Orbison che affondano in un bagno di delay e riverbero, tra visioni rétro e incubi lucidi.

Un disco meraviglioso, anche se destinato a non avere seguiti: Julee Cruise, dopo “The Voice Of Love”, si allontanerà dalle scene per quasi un decennio, tornando solo nel 2002 con “The Art Of Being A Girl”, realizzato senza Lynch e Badalamenti. Il trio si riunirà di nuovo solo nel 2017 per “Twin Peaks: The Return”, l’evento televisivo dello scorso decennio, dove Cruise fa una comparsata interpretando la meravigliosa “The World Spins”.

La pubblicazione di “Fall Float Love (Works 1989-1993)”, oggi, assume purtroppo i contorni di un requiem. Julee Cruise si è suicidata nel giugno 2022, dopo anni di malattia e depressione. Badalamenti è morto pochi mesi dopo, e all’inizio del 2025 ci ha lasciati anche David Lynch, chiudendo idealmente una delle più incredibili e toccanti “collusioni” tra i mondi della musica e del cinema.

Riascoltare oggi questi brani – scritti da menti geniali e interpretati con un candore quasi ultraterreno – ha qualcosa di profondamente commovente. È come sentire voci lontanissime e irraggiungibili risuonare nei corridoi del nostro immaginario. Come se i tre fossero ancora lì, a comporre canzoni nella Loggia Nera, sorridenti e misteriosi, con Julee Cruise che canta con quella sua voce inimitabile che, a costo di sembrare banale e mellifluo, era davvero “la voce dell’amore”.

In chiusura, solo per voi, undici brani imprescindibili tratti dal box set della Cherry Red da ascoltare a occhi chiusi – lasciandosi andare al flusso, alle immagini, alla malinconia. Con la speranza che il ricordo di Julee Cruise, David Lynch e Angelo Badalamenti non svanisca mai nel nulla come invece accadde allo sfortunato Phillip Jeffries, il misterioso agente dell’FBI che un altro grande passato a miglior vita, David Bowie, interpretò in “Fuoco cammina con me”.

FLOATING
Da “Floating Into The Night” (1989)

La traccia che apre il debutto di Julee Cruise è un vero e proprio manifesto dello stile che l’ha resa celebre. Una melodia leggera e tenera, dal sapore quasi ’60s, fluttua dolce come il velluto su un dream pop etereo ma ricco di elementi, impreziosito da fiati e da chitarre simil-surf.

FALLING
Da “Floating Into The Night” (1989)

“Falling” non ha bisogno di una lunga introduzione: è un vero e proprio simbolo del dream pop più etereo e malinconico. Sei mesi dopo l’uscita della canzone, magistralmente interpretata da Julee Cruise, ne fu tratta una versione strumentale che divenne l’indimenticabile sigla di “Twin Peaks” – uno dei tanti tasselli musicali che contribuì a scolpire il tono misterioso dello show nell’immaginario collettivo. “Falling”, così come la sua gemella senza voce, furono incluse nella colonna sonora della serie pubblicata nel 1990. La versione cantata raggiunse l’undicesima posizione nella Billboard Alternative Chart. Semplicemente un classico immortale – tanto da occupare, nella lista di “Pitchfork” delle 200 migliori tracce degli anni ’90, una più che dignitosa 146° posizione.

INTO THE NIGHT
Da “Floating Into The Night” (1989)

Una ballad tenebrosa ma dolce che si muove lentamente fra un tappeto di synth e il riverbero della chitarra. Una ninna nanna ipnotica e incredibilmente malinconica per la quale David Lynch scrisse un testo tanto semplice quanto poetico. Una canzone che sembra appartenere allo stesso universo di “Twin Peaks”, fatto di bellezza onirica e surreale eleganza.

THE NIGHTINGALE
Da “Floating Into The Night” (1989)

Dream pop jazzato, malinconico e al tempo stesso vivace, capace di evocare atmosfere oniriche con impalpabile delicatezza. Il brano si distingue per le sue eleganti sfumature anni ’60 e per certe sonorità vicine allo stile di Roy Orbison, chiaro punto di riferimento nella scrittura melodica e nell’interpretazione vocale intensa e sospesa. Inserito in una scena al Roadhouse nell’episodio pilota di “Twin Peaks” (nel quale viene interpretato sul palco del locale dalla stessa Julee Cruise), il pezzo accompagna lo spettatore in un momento molto teso e violento che coinvolge Donna Hayward, l’amica di Laura Palmer interpretata da Lara Flynn Boyle. L’aggressività del momento si scontra con la dolcezza della musica che fa da sottofondo, creando un effetto di straniamento tipicamente lynchiano.

THE WORLD SPINS
Da “Floating Into The Night” (1989)

Tra le più intense e strazianti ballad mai interpretate da Julee Cruise. Un’onda lenta di pura malinconia, capace di spezzare il cuore e, allo stesso tempo, offrirgli un dolcissimo rifugio. Il brano è parte integrante nella storia di “Twin Peaks”: non solo fa da sigla di chiusura al favoloso settimo episodio della seconda stagione, ma è stato anche recuperato per “Twin Peaks: The Return” nel 2017. Se non vi emozionate ascoltando questa canzone, non avete un’anima.

THE SPACE FOR LOVE
Da “The Voice Of Love” (1993)

“The Space For Love” suona come una preghiera gentile sussurrata in un sogno. Le calde carezze della chitarra, dei synth e del violoncello costruiscono un altare sonoro dove il dream pop incontra la lounge e una mistica sacralità tutta lynchiana. Un luogo interiore dove l’amore diventa spazio e silenzio.

UP IN FLAMES
Da “The Voice Of Love” (1993)

“Up In Flames” è una gemma anomala nel repertorio di Julee Cruise, ben lontana dalla dolcezza eterea che l’ha resa celebre. Qui l’atmosfera si fa cupa e straniante, in un oscuro brano jazz intriso di inquietudine e sorretto da un ipnotico walking bass che pare emergere da un fumoso incubo lynchiano. Il pezzo, chiaramente ispirato a un altro brano scritto dal maestro Angelo Badalamenti (“Dance Of The Dream Man”, dalla colonna sonora di “Twin Peaks”), ne riprende la struttura “obliqua” e notturna, con l’aggiunta di una dose di torbida tensione dal gusto trip hop.

KOOL KAT WALK
Da “The Voice Of Love” (1993)

In bilico tra tradizione e stranezza, “Kool Kat Walk” è un brano jazz dal gusto classico ma irresistibilmente intrigante, con un groove felpato e notturno che si insinua sotto pelle. C’è qualcosa di sexy nel suo incedere sinuoso – come se i Manhattan Transfer si fossero persi dentro un sogno lynchiano. Una versione strumentale del pezzo è apparsa anni prima dell’uscita del disco di Julee Cruise in “Cuore selvaggio”, film di David Lynch che vinse la Palma d’Oro a Cannes nel 1990. Un esercizio di stile che ha il sapore di un cocktail sorseggiato a lume di candela in un lounge bar della Loggia Nera.

UNTIL THE END OF THE WORLD
Da “The Voice Of Love” (1993)

Tra le tante, straordinarie ballad di Julee Cruise, “Until The End Of The World” brilla come una delle più intense e commoventi. La voce della cantante statunitense accarezza l’ascoltatore con una dolcezza che sfiora l’invisibile, toccando corde profonde e segrete. È una carezza soffice come il miglior dream pop – un sussurro che si fa incanto. Lo splendido testo di David Lynch parla d’amore come di un’esperienza assoluta, cosmica, senza tempo. Una piccola poesia che porta dentro di sé tutta l’umanità di un artista rimasto fino alla fine allergico ai filtri, capace di dire l’indicibile con parole (ma soprattutto immagini) semplici e luminose: We danced above the earth / Through the heaven above / Sunlight, moonlight smiled / Until the end of the world. Il mondo è buio, ma la luce dell’amore lo squarcia: Then the darkness cried. E ancora: Your kiss a sacred dream / The dream is one that lasts / Until the end of the world. In questa unione mistica tra parole e musica, Julee Cruise canta il miracolo dell’incontro, della bellezza e dell’eternità.

QUESTIONS IN A WORLD OF BLUE
Da “The Voice Of Love” (1993)

All’interno dell’album “The Voice Of Love”, pervaso da una mistica sacralità che sublima l’esperienza umana in una dimensione non divina ma certamente ultraterrena, “Questions In A World Of Blue” si staglia come una preghiera sospesa, delicatissima e struggente. In questo brano, Julee Cruise e David Lynch – autore del testo – danno voce a un dolore puro, cristallizzato nei temi della solitudine e dell’abbandono. È il lamento silenzioso di un’anima che interroga il vuoto, immersa in un mondo ovattato di malinconia, dove le emozioni si diluiscono in un’eterna sospensione.

THE VOICE OF LOVE
Da “The Voice Of Love” (1993)

Un capolavoro assoluto firmato da Angelo Badalamenti, “The Voice Of Love” è una di quelle rare composizioni capaci di frantumare il cuore con la forza di una struggente delicatezza. Dolcezza e tristezza si fondono in un abbraccio sonoro così intenso da farsi a tratti insostenibile: difficile trattenere le lacrime. La voce tenue e fragilissima di Julee Cruise sembra provenire da un altrove “twinpeaksiano”; non a caso, la versione strumentale del brano accompagna la bellissima (almeno per me) scena finale di “Fuoco cammina con me”, quella in cui Dale Cooper e Laura Palmer – intrappolati nella dimensione oscura della Loggia Nera – sembrano trovare conforto in una visione angelica. È un momento di grazia, forse di redenzione, ed è soprattutto la musica a renderlo possibile. Il titolo della canzone, d’altronde, parla da solo: “The Voice of Love” è davvero la voce dell’amore, nella sua forma più pura e disarmante. Se Julee Cruise avesse cantato solo questo pezzo in tutta la sua carriera, sarebbe comunque eterna.


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