La versione del bancarellaro
Mai come da tre anni a questa parte attraversiamo un periodo dove delle guerre sul pianeta si è perso il conto.
Ci prendiamo cura di quelle che ci toccano più da vicino, ma non saprei quanto altre più lontane, che conosciamo meno per le notizie e le poche immagini che ci giungono, non siano le più tragiche per numero di morti e violenze sui vivi; soprattutto sulla popolazione civile che sfido chiunque a trovare, in qualunque parte del mondo, famiglie felici di vivere in un contesto bellico, da quando ormai il cosiddetto fronte non esiste più e con l’invenzione dei droni, non c è più bisogno del rischio nucleare per temere la distruzione di intere nazioni usando le cosiddette armi convenzionali, come se esistessero armi che fanno più o meno male, a seconda del fatto che siano classificate anticonvenzionali o no. Come se un pugile si lamentasse perché l’avversario gli ha fatto saltar via due denti, anziché tirargli pugni sul fegato o sulla milza.
Purtroppo siamo messi peggio del momento altrettanto critico di quando nell’ottobre 1962 attraversammo la crisi dei missili cubani, con una guerra planetaria che avrebbe spazzato via quasi tutta la popolazione della terra. In quel caso la ragionevolezza di Kennedy e Kruscev evitò lo scontro che non avrebbe giovato a nessuno dei due.
E’ triste dover prendere atto che da quando le armi nucleari sono diventate patrimonio di troppa umanità, la voglia di fare la guerra ha infettato troppe teste calde – molte di ricotta – nella consapevolezza che il conflitto atomico ha perso d’interesse essendo svanita la possibilità di mettere in atto il principio del chi mena per primo, mena due volte.
Per lo meno hanno capito che sarebbe una distruzione totale da far scomparire l’umanità sulla terra, a beneficio delle specie animali e vegetali molto più intelligenti e resistenti di quella umana a smaltire l’inquinamento radioattivo del pianeta.
Due sere fa ho incrociato Ubaldone, il bancarellaro di libri usati a Ponte Milvio, che faceva shopping con la nuova moglie, facendomi l’occhiolino, con uno sfumato aumme,aumme, di soppiatto.
“Che piacere ritrovarla, Proffe, anche se nun sa quanto ce mancheno l’incontri su ‘a piazza de ‘na vorta. Che me dice de sto momentaccio?” Mi sono stretto nelle spalle con un sospiro e ho scosso il capo. Ma prima che riuscissi a mettere insieme una risposta, lui mi ha anticipato.
“Je posso di’:quello che penso? Riguardo a Gaza, se ricorda ‘a canzonetta der Trio Lescano, quella de Maramao? Mo i poveri palestinesi l’hanno mutata e canteno: netaniau, netaniau, fanno tutti in coro, netaniau, netaniau, quando te ne andrai nessuno ti rimpiangerà … Ma quello, fin che dura, scordamose ‘a pace. Invece er caso Putin me pare più chiaro: da quando è stato eletto Trump che ha ‘ndebbolito L’Ukraina, visto che ‘a guera je se mette mejo, ‘n questo momento, de pace n’ha poca voja. Quello ch’è più ‘n emigna è Trumpone che ‘n se riesce a capì che dazio vole. Sa che penso, Proffe? Ch’a fucilata a frisaje l’orecchio lo fa sentì come ‘r miracolato deddio.
Un po’ come ‘a pallottola de Alì Agghecià, per er Papa Giovanni Paolo II, sviata da la Madonna. Per questo, ‘n attesa de ‘a beatificazione, se sente autorizzato de dì un giorno: un dazio per uno, nun fa male a nessuno; pe’ ripensacce sopra er giorno dopo e tornacce a dì che so’ dazzi sua e ce po’ fa quer che più je pare, in funzione de quer che ha sognato ‘a notte. Mi nonno m’ha consijato er 32%, mi zia m’ha detto de lascia’ perde, che er 64% è na ggaranzia su ‘a rota de Miami. ‘Nzomma chi ce capisce quarcosa è bravo.”
“Allora, ascoltami Ubaldone: tra i tanti libri usati della bancarella, vedi se hai le poesie di Prevert. Ne esiste un’edizione di Guanda – anni ’60 – in francese, con traduzione a fronte.
Ma qualunque edizione va bene. Ritrova la poesia Barbara, dedicata a una ragazza, mentre saluta il fidanzato diretto al fronte. La risposta alla tua domanda la troverai nel verso: Barbara, che coglionata è la guerra.”
Ci siamo lasciati con un abbraccio, mentre gli sussurravo all’orecchio: salutami tua moglie; quella vera.
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