Lazio

La vendetta fascista contro San Lorenzo, il “Quartiere rosso”

«Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:
nuje simmo serie…appartenimmo à morte!» 
(Principe Antonio De Curtis, in Arte Totò, ‘A Livella”, 1964)

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Sul Quartiere romano di San Lorenzo: «la gente per bene ci passa solo morta» (Maria Montessori, 1870-1952)

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Il giudizio caustico di Maria Montessori sul Quartiere di San Lorenzo la dice lunga su quale fosse l’idea, non solo sua ma di molti romani cosiddetti “per bene”, su quel Quartiere, nato verso la fine del Secolo XIX fuori delle Mura Aureliane, nei pressi dello Scalo ferroviario (attivo dal 1865) in una zona precedentemente agricola dove di edificato c’erano solo la Basilica di San Lorenzo e il primo nucleo del Cimitero del Verano e dove (lungo la Via Tiburtina) passava solo la Tramvia a vapore Roma-Tivoli con capolinea a Porta San Lorenzo, in funzione dal 1879 e attiva fino al 1934. Un Quartiere quello di San Lorenzo nato soprattutto per i ferrovieri e i tramvieri che lì dovevano lavorare; i primi non solo presso lo Scalo Ferroviario ma, dal 1879, anche presso la Stazione Ferroviaria di ‘Roma-Portonaccio’, poi rinominata ‘Roma-Tiburtina’, nome che la Stazione ferroviaria porta tutt’ora.

Quel giudizio duro e sprezzante non impedì però che il 6 Gennaio 1907, quella che sarebbe diventata una tra le più importanti Pedagogiste non solo italiane, aprisse, proprio in quel Quartiere (esattamente al civico 58 della  Via dei Marsi), la sua prima “Casa Dei Bambini”, anzi forse fu proprio per quella che la Montessori riteneva fosse la natura “perversa” di quel Quartiere che lì ebbe inizio un esperimento pedagogico che dura tutt’ora, con ragguardevoli risultati e non solo in Italia.

Una quindicina di anni dopo quell’apertura (importante per il Quartiere, ma  anche per la Storia della Pedagogia) in Italia il fascismo prese il potere – come la Storia ci ricorda – più per la codardia di Casa Savoia che per la forza militare generata dalla cosiddetta “Marcia su Roma” che, di fatto, non ci fu e che addirittura il duce del fascismo fece, da Milano, in vagone letto e non alla testa dei suoi scagnozzi tagliagole in orbace.

La Pedagogista famosa e il fascismo

Forse non a tutti è noto che il rapporto tra Maria Montessori e il fascismo mussoliniano fu assai complesso e travagliato. Inizialmente, dopo un periodo di soggiorno in Spagna, la Montessori infatti, tornata in Italia nel 1924, si iscrisse al Partito Nazionale Fascista, ricevendo anche il plauso di Mussolini.

Tuttavia, nel tempo, le sue posizioni ideologiche, caratterizzate da una forte attenzione alla pace e alla libertà individuale, si scontrarono con il regime, portando ad un totale distacco e, infine, all’esilio della Pedagogista dall’Italia fascista.

“Assalto a San Lorenzo, la prima strage del fascismo al potere”

Con questa Nota però non intendo approfondire questo aspetto, pure se interessante per gli amanti della Storia; bensì tornare al Quartiere di San Lorenzo per raccontare – grazie ad un Libro di cui vi propongo la lettura (Libro che mi è stato segnalato da un nostro iscritto, Massimo Serafini, che qui ringrazio) – la storia di un’azione vigliacca portata a termine dai fascisti – per mera vendetta – contro gli abitanti proprio di quel Quartiere, che era stato da subito e si era mantenuto una “fortezza antifascista” inespugnabile per i codardi in camicia nera. Ma prima di andare a conoscere questa interessante Ricerca di carattere non solo storico, occorre mettere in fila ancora qualche riga di parole sul Quartiere romano oggetto e del Libro e di questa Nota.

Quello di San Lorenzo era un Quartiere della Roma degli anni ‘20/’30 del ‘’900, abitato da muratori, artigiani, ferrovieri e tranvieri, netturbini e piccoli truffatori e ladruncoli, perlopiù immigrati provenienti dal Centro-Sud d’Italia. Un Quartiere sviluppatosi ulteriormente all’inizio del ‘900 con la nascita di piccole Fabbriche, officine e botteghe artigiane, dove le case (costruite dall’Istituto Romano Beni Stabili) erano, per la quasi totalità, insalubri e precarie, perché realizzate con materiale di riporto. Povertà e devianza erano, dunque, praticamente di casa a San Lorenzo.

L’ultima notazione di carattere diremmo così antropologico e politico insieme, ci dice che, negli anni ‘20 del ‘900, San Lorenzo, Trastevere, Trionfale e Testaccio costituivano i “quartieri rossi” della Capitale del Regno D’Italia; Quartieri di Roma ai quali i fascisti con le loro squadracce non potevano neppure immaginare di avvicinarsi. Quartieri popolari o meglio – per usare un termine ormai desueto – “proletari”. Un carattere politico ed una composizione sociale che San Lorenzo conserverà fino alla fine del Secolo scorso, arricchito anche dalla presenza dei Movimenti degli studenti provenienti dalla vicina Università La Sapienza.

Dopo questa lunga – ma doverosa – introduzione di inquadramento della scena che il Volume che vi invito a leggere descrive è arrivato, finalmente, il momento di avvicinarci a questo libro. Si tratta di “Assalto a San Lorenzo, la prima strage del fascismo al potere”, Saggio scritto da Gabriele Polo, giornalista ed ex Direttore del Quotidiano Il Manifesto (con una Introduzione dello Storico Giovanni De Luna e un Testo finale di Edith Bruck sul ‘Dovere della Memoria’), pubblicato nel 2024 dalla Casa Editrice Donzelli, nella Collana “Saggine”.

Dunque, la storia nera che tra breve conoscerete ha il suo acne il 30 Ottobre del 1922, un Lunedì, ovvero a due giorni dall’inizio della Marcia su Roma e nelle stesse ore in cui Mussolini riceveva l’incarico dal re Vittorio Emanuele III di formare il suo primo governo. Prima di quel giorno gli abitanti di San Lorenzo avevano più volte respinto fieramente gli assalti delle squadracce fasciste.

Preso il potere i fascisti furono in grado – con un inganno (avevano promesso che nulla sarebbe capitato agli abitanti al passaggio delle loro squadracce per le strade di San Lorenzo) – di attuare la loro vendetta sul Quartiere, sciamando per le sue vie e per i vicoli e sparando all’impazzata – e a casaccio – sulle persone che incontravano o su quelle affacciate alle finestre per osservare quella “cagnara”. Fu una strage. Una strage dettata esclusivamente dal gusto della vendetta. Una strage avvenuta con la complicità dell’Esercito Regio, guidato dal Generale Emanuele Pugliese (1864-1967).

Si trattò di una strage oscurata dal potere tanto che non si seppe mai, con certezza, né il numero esatto, né l’identità delle numerose vittime, che vennero seppellite senza alcun rito funebre, affinché di quei morti si perdesse la Memoria, un eccidio che non fu né il primo né l’ultimo operato dagli sgherri fascisti.

Una storiaccia che si ripeterà, diventando quasi un vizio

Il Generale Emanuele Pugliese, più volte decorato durante la Prima guerra mondiale, alla fine della Seconda, anch’essa mondiale, fu protagonista di un’aspra diatriba con l’allora Ministro dell’Assistenza Postbellica, Emilio Lussu,  che, nel suo libro “Marcia su Roma e dintorni”, lo accusava apertamente di essere responsabile della mancata difesa della Capitale, non avendo impedito, con le armi, l’arrivo a Roma delle colonne dei fascisti.

La stessa “dimenticanza” (o se volete “distrazione”) per non dire vigliaccata, si ripeterà l’8 Settembre del 1943, quando i componenti dello Stato Maggiore dell’Esercito Regio – Capo del Governo il Maresciallo D’Italia Pietro Badoglio – incaricati della difesa di Roma, invece di predisporre piani difensivi adeguati (o di dare corso alla cosiddetta “O.P. – Memoria 44”. Direttiva firmata dall’allora Capo di Stato Maggiore dell’Esercito il Generale Mario Roatta) fuggirono con il re savoiardo, per salvare la propria ghirba, lasciando a pochi cittadini e militari (tra i quali il Colonnello Montezemolo, male armati, la valorosa quanto disperata difesa della Capitale dagli attacchi tedeschi.

D’altronde, come scrive nella Prefazione  del Volume di Polo, lo Storico Giovanni De Luna, “Senza la violenza, Mussolini non avrebbe mai vinto… Senza la complicità esplicita delle istituzioni dell’Italia liberale preposte all’uso della forza per il mantenimento dell’ordine pubblico (polizia, esercito, magistratura, ecc.) le camicie nere sarebbero rimaste un manipolo di facinorosi privo di prospettive politiche” – e prosegue De Luna – “senza la guerra, quella ‘grande’ del 1914-18, non ci sarebbe stato Mussolini e non ci sarebbe stato il fascismo”. Ma i sanlorenzini nel 1922 (e non solo allora) erano “uomini e donne in carne e ossa, disposti a morire in nome della libertà e della lotta” – scrive ancora De Luna – “contro i soprusi dei dominatori. Un esempio da non dimenticare.”.

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D’altra parte, la violenza fascista ha sempre avuto complici nello Stato, come dimenticare, ai giorni nostri, Piazza Fontana, la Stazione di Bologna o Piazza della Loggia, a Brescia, solo per citare alcune delle stragi nere. In quell’Ottobre del 1922, tutti pensano – giornali, leader politici e intellettuali – sottovalutando la situazione, che la tanto temuta rivoluzione fascista, dopo innumerevoli devastazioni e vittime (almeno 3.000), allontanerà il “pericolo rosso” senza ribaltare, anzi rafforzando, le istituzioni dello Stato liberale, in primis l’Esercito e la monarchia, Purtroppo, oggi sappiamo che le cose andarono ben diversamente.

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Alla guida degli squadristi romani c’erano due leader (e due squadracce) antagonisti / te: Gino Calza Bini (1891-1957) al tempo, solo Calza, un avventuriero senza mestiere ma abile comunicatore e imbonitore, e Giuseppe Bottai (1895-1959), laurea in giurisprudenza, Docente universitario, massone e fascista della prima ora.

A Roma alle squadracce fasciste fino all’anno prima si erano opposti gli Arditi del Popolo, politicamente eterogeni. Erano socialisti, comunisti, anarchici, repubblicani, sindacalisti, guidati da due ex combattenti del Carso, anch’essi in contrapposizione fra loro. Da una parte, il Deputato socialista Giuseppe Mingrino e, dall’altra, Argo Secondari (1895-1942), entrambi ex militari decorati di guerra. Se il primo avrebbe voluto trasformare gli Arditi del Popolo nel braccio armato dell’opposizione politico-parlamentare, il secondo li immaginava invece come un Partito. Mingrino fa espellere l’altro alla vigilia della Marcia su Roma, così lasciando gli Arditi senza una direzione militare. (*)

Gino Calza Bini capisce allora che il momento è propizio per la grande epurazione, per la vendetta.  Gli squadristi, prossimi alla conquista del potere, iniziano la loro “pulizia” nella città, si muovono come conquistatori lasciando dietro di loro morti e devastazione. Nel pomeriggio del 29 Ottobre iniziano da Trastevere per proseguire su Trionfale e Borgo Pio. L’Esercito presidia le principali vie d’accesso ai Quartieri “a rischio”, puntando a limitare i danni e gli scontri in campo aperto ma, data la revoca dello stato d’assedio da parte del re, non può fare molto anche perché, neanche tanto segretamente, i Generali monarchici in grigioverde “tifano” per i fascisti. Alle squadracce, guidate da Calza Bini, il giorno successivo non resta che concludere il “lavoro” nelle zone “rosse”, in testa San Lorenzo, da dove erano stati ricacciati ingloriosamente già tre volte.

Anche se molti leader politici sono già fuggiti, il Quartiere romano resta una comunità coesa, che sceglie di non accettare provocazioni, e così, ci ricorda Gabriele Polo, all’arrivo dei fascisti di Bottai «non c’è nessun esercito proletario a difendere San Lorenzo; solo i suoi abitanti, che possono forse sentirsi sconfitti, ma non conquistati». Il gerarca e i suoi sgherri attraversano un Quartiere deserto. Nulla accade, poi si diffonde la voce che ci sono stati scontri a Santa Bibbiana, al confine tra l’Esquilino e San Lorenzo, e Calza Bini, alla guida di 100-150 squadristi toscani, ne approfitta per dare l’assalto al Quartiere che si difende con quel che ha sottomano. In via degli Equi i primi morti. Poi Bottai, tornato indietro, dà il via ad un vero e proprio rastrellamento casa per casa.

«Si lasciano alle spalle morti e feriti: non importa quanti siano,” – scrive Polo – “tantomeno chi siano. È gente cacciata fuori dalla storia, semplici scalpi della vendetta, fanno parte della “lezione”. Per qualche ora nessuno può nemmeno raccoglierli, rimangono dove sono caduti». Poi, a finire il lavoro, arriva l’Esercito Regio con le autoblindo.

I morti saranno raccolti e – per ordine preciso del Generale Pugliese portati direttamente al Verano dai militari: vietato fare cerimonie funebri per ragioni di ordine pubblico «ognuno sarà solo …alle prese con un lutto che sembra tramutarsi in vergogna. La vergogna degli sconfitti». Morti cancellati, commenta Polo, «Negletti per condizione e non per scelta, antifascisti per pratica più che per ideologia… nascosti e cancellati dalla prepotenza del potere. Dimenticati o rimossi dalla paura», non verranno annotati neppure nei registri della locale Parrocchia dell’Immacolata. Le loro tombe sono tutt’ora anonime. Al Verano, nessun monumento che li ricordi. «Una “strage” nella strage quella della memoria – commenta ancora Polo – a lungo andare forse persino più grave.».

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Epilogo

Nessuno dei colpevoli di quella strage ha pagato, neppure dopo la caduta del fascismo. La Magistratura, al tempo, come scrivo in avanti, archiviò il caso. Bottai, dopo aver “sfiduciato” Mussolini nel ‘43, evita l’ergastolo grazie all’amnistia di Togliatti e, anni dopo, lo ritroviamo vicino alla destra democristiana. Muore nel 1959, celebrato e onorato, tanto che nel 1995 a Roma c’è chi tentò, fortunatamente senza   successo, di intitolargli una strada.

Viceversa, nel 1923, Calza Bini venne espulso dal Partito Nazionale Fascista e, riammesso nel 1926, non ebbe più incarichi. Nel 1940, si trasferì in Spagna come dirigente dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni. Nel dopoguerra sfugge ad un mandato di cattura internazionale e non sarà mai più ritrovato.

Intanto, Mussolini, diventato Presidente del Consiglio, avvia la sua opera di governo, con le tragiche e nefaste conseguenze che sono scolpite indelebilmente nel la Memoria del nostro Paese, nei libri di storia e nella Memoria di quanti, oggi come ieri, non hanno alcuna remora a dichiararsi antifascisti, perché ben sanno che l’Italia si è affrancata dal nazifascismo, diventando Repubblica e restituendo libertà e democrazia agli italiani, grazie alla Guerra di Liberazione, condotta da migliaia e migliaia di donne Partigianeuomini e ragazzi Partigiani, che in tanti casi non esitarono a sacrificare le loro vite.

Un’archiviazione per “insufficienza di prove”

Il 9 Luglio del 1923,  la Sezione D’Accusa della Corte D’Appello di Roma, riunita “in nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e volontà della Nazione, Re D’Italia” (era la formula di rito con la quale i Tribunali del Regno D’Italia pronunciavano le loro Sentenze) archivia “per insufficienza di prove” il Procedimento penale aperto “contro ignoti” per avere “mediante colpi di arma da fuoco in un conflitto, verificatosi in Roma il 30 Ottobre del 1922 nel Quartiere di San Lorenzo, cagionato la morte di sette persone e il ferimento di altre tredici”. Nessuno pagherà per quella strage e la “giustizia fascista” avrà fatto ancora, una volta, il suo corso.

I morti ammazzati dai fascisti in quell’assalto criminale al Quartiere di San Lorenzo, riposano da 103 anni al Cimitero Monumentale del Verano, spesso in tombe anonime e senza fiori, ricevendo nessuna o poche visite dai parenti di terza e quarta generazione che nulla sanno di quella scorribanda assassina dei fascisti costata la vita ai lorom, parenti, innocenti di ogni colpa.

Sempre al Cimitero Monumentale del Verano, al centro del Cimitero, si trova una Cappella-Mausoleo di forma cilindrica e di mattoni scuri. Eretta nel 1932 in occasione del decennale della “Marcia su Roma” la Cappella-Mausoleo reca una scritta in latino che recita: “LICTORIAE FIDEI MARTYRES H.B.Q. HORUM IURA SANCTIORA IN CHRISTI TUTELA” (“Possano i martiri della fede littoria riposare qui sotto la protezione di Cristo”) e se si guarda attraverso i vetri si vede, sul fondo, una piccola scritta che recita: “Ai Martiri Fascisti”. Quel luogo è meta, ogni anno, di cortei fascisti, i più diversi da Forza Nuova a Vox, dal Fronte Nazionale francese Alla Comunità Politica Di Avanguardia, la Fondazione che raccoglie i resti della disciolta Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie, fino ad arrivare a Fratelli D’Italia, oggi al governo, che anche così non rinnega le sue radici che originano dal peggiore fascismo mussoliniano.

E’ vero – come ci ricordava il Principe Antonio De Curtis (1898-1967), in arte Totò – che “a morte è ‘na livella” che tutti rende uguali davanti a Dio. Ma noi sappiamo bene che non tutte le morti sono uguali e che anche tra i morti c’è differenza. Infatti, c’è chi muore – ad esempio i fascisti nostrani – tradendo il proprio Paese e collaborando con i tedeschi occupanti e assassini e chi muore invece – gli antifascisti e i partigiani – per averlo difeso e averlo sognato e voluto libero.

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Questa, la storia dimenticata dell’attacco fascista a San Lorenzo e della prima strage in nero che il nostro Paese dovrà sopportare. La rievocazione di Gabriele Polo è probabilmente la prima (ed unica) Memoria articolata di quella strage fascista. A noi tocca – ora che l’abbiamo conosciuta – farne Memoria nel nostro lavoro con gli studenti, i loro Professori e i cittadini del nostro territorio, come tante altre volte abbiamo fatto – e facciamo – visto che questa Memoria manca del tutto a chi, pur avendo rivestito – o rivestendo – cariche di Governo, rifiuta di dichiararsi antifascista.

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Mejo l’americani su la capoccia che Mussolini tra li cojoni

La scritta che avete letto è apparsa sul muro di un Quartiere romano dopo uno dei numerosi bombardamenti alleati sulla città (per la Storia 52), Non si trattava del Quartiere di San Lorenzo, ma quelle parole vergate se quel muro fosse stato di una delle case di San Lorenzo, certamente nessuno dei suoi abitanti le avrebbe cancellate.

Dopo la strage del 30 Ottobre del 1922 ad opera dei fascisti, San Lorenzo subirà la deportazione di molti suoi abitanti, ad opera dei nazifascisti occupanti e collaborazionisti. E poi, il 19 Luglio del 1943, subirà un pesante bombardamento (forse il più duro subito dalla città di Roma) che portò nel Quartiere distruzione e morte (oltre 1500 furono i morti).

Questa parte della Storia di San Lorenzo è ancora oggi profondamente radicata nella Memoria del Quartiere. Lo sintetizza una scritta che recita: “Resisti, ricorda, libera”.

(*) Gli “Arditi del Popolo” nacquero a Roma sul modello di quelli nati a Parma, nell’Oltrepò cittadino, Squadra militare proletaria che, fondata tra gli altri proprio nel 1922 da Guido Picelli, resistette validamente agli assalti delle squadracce fascistePicelli – come è certamente noto – cadrà nel 1937 ad Algora, sul Fronte spagnolo, colpito alla schiena da “fuoco amico”, mentre fronteggiava i fascisti spagnoli e quelli italiani, mandati da Mussolini ad ammazzare non solo gli spagnoli repubblicani, ma gli italiani antifascisti e gli altri internazionalisti accorsi in Spagna in aiuto della Repubblica.

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