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La svolta di Trump e la sicurezza dell’Europa

Prima o poi, i nodi arrivano al pettine. E il nodo in questione, per l’Europa, si chiama sicurezza. Dopo la sospensione da parte della Francia del processo di approvazione del Trattato sulla Comunità europea della difesa (CED) il 30 agosto del 1954, il compito di garantire la sicurezza del nostro continente venne sub-appaltato agli Stati Uniti attraverso la loro leadership (militare e tecnologica) della NATO. Un sub-appalto che è stato riconfermato nel periodo del dopo-Guerra Fredda, quando gli europei pensarono che la storia fosse finita. Poi è arrivato Putin, con l’annessione della Crimea nel 2014 e l’invasione dell’Ucraina nel 2022, mostrando che la storia non era affatto finita. Di nuovo, è stata la NATO ad opporgli resistenza, visto che gli europei continuavano ad essere privi delle risorse e istituzioni per proteggere l’Ucraina (e sé stessi). Tuttavia, con i cambiamenti elettorali avvenuti a Washington D.C., il ruolo sicuritario della NATO non è più scontato.

In un’intervista a NBC di pochi giorni fa, Donald Trump ha ribadito la posizione sostenuta per tutta la campagna elettorale. L’aiuto militare americano all’Ucraina sarà ridotto, l’impegno americano nella NATO sarà valutato caso per caso, la guerra russo-ucraina è un affare europeo, spetterà agli europei garantire il cessate il fuoco tra i due Paesi, così come farsi carico degli enormi costi della ricostruzione economica e civile dell’Ucraina. Compiti (ed è questo il nodo) che gli europei non sono in grado di assolvere, se non modificano il loro “paradigma” integrativo.

È indubbio che l’Unione europea (Ue) abbia fatto molto per aiutare l’Ucraina. Tra il febbraio 2022 e il giugno 2024, ha approvato 14 pacchetti di sanzioni economiche nei confronti della Russia (e un ulteriore pacchetto è attualmente in discussione). Nel contesto della European Peace Facility (un veicolo finanziario intergovernativo), ha fornito armi letali all’esercito ucraino attraverso il programma di assistenza militare (EUMAN Ukraine), così come ha incrementato la produzione di munizioni da trasferire al governo di Kiev attraverso un regolamento (Act in Support of Ammunition Production) approvato nel luglio 2023. Ha incentivato la produzione industriale nel campo della difesa (con la European Defense Industrial Strategy o EDIS) del marzo 2024. Per aiutare economicamente l’Ucraina, ha incrementato il fondo della European Peace Facility da 5,6 a 17 miliardi di euro, ha introdotto (per il solo 2023) la Macro-Financial Assistance Instrument for Ukraine (MFA+) di 18 miliardi di euro e, per il periodo 2024-2027, ha approvato un regolamento che istituisce la Ukraine Facility (UF) consistente di 50 miliardi di euro, di cui 1/3 sovvenzioni e il resto prestiti. Inoltre, i singoli stati membri dell’Ue hanno firmato accordi bilaterali con il governo ucraino attraverso cui trasferire armi ed aiuti. Se si considera la reazione abulica dell’Ue all’annessione della Crimea nel 2014, non si può dire altrettanto per la reazione all’invasione dell’Ucraina nel 2022.

Se l’Ue ha fatto molto, però non ha fatto abbastanza. Gli europei continuano a dipendere militarmente e tecnologicamente dagli Stati Uniti, un Paese divenuto imprevedibile. Non c’è una capacità di difesa europea indipendente dai 27 stati membri dell’Ue, così che il processo decisionale ad essa relativa è continuamente paralizzato dalle divisioni interstatali al suo interno. Non c’è una visione strategica dell’Ue su conflitti che pure si riverberano drammaticamente sui suoi stati membri. L’Ue è assente nei conflitti medio-orientali (a Gaza, in Siria), anche se le conseguenze di quei conflitti saranno avvertiti esclusivamente dai suoi stati membri (attraverso flussi migratori, richieste di protezione, rischi terroristici). Una visione strategica che è assente anche nella guerra in Ucraina. L’Ungheria, che presiederà il Consiglio dei ministri fino al 31 dicembre 2024, si comporta come fosse un’appendice della Federazione russa. La Polonia, che prenderà il suo posto nei prossimi sei mesi, promette di cambiare prospettiva risuscitando il cosiddetto Triangolo di Weimar (un accordo di cooperazione tra Polonia, Germania e Francia siglato nel 1991), come se questo fosse sufficiente per contrastare le ambizioni imperiali di Putin. La Commissione von der Leyen ha un commissario alla difesa (Andrius Kubilius) per promuovere progetti industriali militari transnazionali, ma ogni stato membro difende primariamente i propri interessi. Se si realizzerà, l’incremento della spesa militare al 3% del Pil seguirà una logica nazionale, con relativi sprechi e sovrapposizioni. L’Ue non dispone di un dispositivo militare sovranazionale da attivare nelle emergenze. Persino l’obiettivo previsto nella Bussola strategica del marzo 2022, di creare una forza UE rapida di 5000 uomini entro il 2025, è lungi dall’essere raggiunto. Se riuscirà a mobilitare i 40.000 soldati che dovrebbero garantire l’eventuale cessate il fuoco tra russi e ucraini, essi risponderanno ai vari comandi nazionali, con le idiosincrasie che ne conseguono.

Insomma, non è vero che l’Ue abbia fatto poco per aiutare l’Ucraina, ma è vero che non ha fatto abbastanza. Occorre cambiare il paradigma integrativo, riconoscendo che vi sono compiti (come la sicurezza) che non possono essere assolti dai singoli stati membri o dal loro coordinamento. È stato avviato un dibattito per il ritorno alla CED. Bene. Un passo indietro per farne due in avanti.


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