La strategia europea per l’Intelligenza Artificiale tra regulatory power e spinta alla competitività globale
Il documento “Making Europe an AI Continent”, pubblicato dallo European Parliamentary Research Service a fine settembre, arriva in un momento in cui l’Unione Europea sembra oscillare tra due spinte contrapposte in tema di intelligenza artificiale: da un lato la volontà di consolidare il proprio ruolo globale di regulatory power con l’AI Act, già dimostrato in materia di dati personali con il GDPR; dall’altro, la necessità di incentivare l’innovazione tecnologica in Europa e la sua competitività rispetto a Stati Uniti e Cina. Sullo sfondo, riaffiora un principio antico ma attualissimo: non vi è tutela effettiva dei diritti senza strumenti giuridici vincolanti, ma nessuna regolazione sopravvive se non è sorretta da politiche e infrastrutture adeguate.
Il documento riprende quindi i cinque assi portanti dell’AI Continent Action Plan dello scorso aprile, analizzandone progressi e obiettivi: il rafforzamento delle infrastrutture computazionali, l’accesso ai dati, il sostegno all’innovazione, lo sviluppo delle competenze e la semplificazione normativa. È quest’ultimo punto a rappresentare un obiettivo innovativo rispetto alle esperienze passate e condizionato dall’influenza di forze endogene ed esogene.
Relativamente alle prime, sebbene il Regolamento europeo sulla protezione dati, GDPR, grazie alla sua portata extraterritoriale (l’assai controverso Bruxelles effect) abbia reso l’Europa uno “standard-setter” globale, i costi di compliance – anche organizzativi – rappresentano sì il prezzo della tutela del diritto alla protezione dei dati, ma hanno anche generato la percezione di un onere normativo eccessivo, soprattutto per PMI e start-up, motore dell’economia europea. E questo è ciò che si teme possa accadere anche con l’applicazione del complesso corpus normativo dell’AI Act per lo sviluppo e la commercializzazione dell’IA in Europa; di qui la nascita di un’esigenza di semplificazione. D’altra parte, “Making Europe an AI Continent” mette nero su bianco altre grandi sfide per l’Unione Europea che rappresentano il vero ostacolo alla sua “autonomia strategica”: la carenza di investimenti privati, la dipendenza da fornitori stranieri di cloud e semiconduttori, e la frammentazione normativa. In questa prospettiva, il ruolo dell’AI Act diventa paradigmatico: l’adozione di un approccio risk-based per la sua stesura mira a imporre vincoli soltanto per quei sistemi di IA qualificati come ad alto rischio, ma lascia maggiore libertà e margini di manovra per l’innovazione nei settori considerati meno sensibili. Il cuore della nuova strategia europea non è dunque ridurre le tutele, ma rafforzarle rendendole sostenibili, ed è quindi in questo contesto che si collocano i richiami a una “semplificazione” del GDPR e all’AI Act, presentata come strumento per alleggerire i costi di compliance e incentivare la crescita di un mercato interno ancora da sviluppare.
Per quanto riguarda le pressioni esogene, già il rapporto Draghi del 2024 sulla competitività europea aveva stimato in 800 miliardi di euro annui gli investimenti necessari per colmare il divario europeo nei confronti degli Stati Uniti e della Cina, invocando a tal fine un’ampia stagione di “semplificazioni legislative”, indispensabile per raggiungere tale obiettivo. E anche il documento “Making Europe an AI Continent” guarda al quadro geopolitico: negli Stati Uniti, la nuova amministrazione Trump ha sostituito l’approccio safety-based dell’era Biden con un’agenda deregolatoria che, con il piano “Winning the race. America’s AI Action Plan” pubblicato nel luglio 2025, punta a rimuovere ogni barriera regolatoria alla leadership americana nell’intelligenza artificiale.
La regolamentazione, in fondo, non è, o almeno non dovrebbe essere un fardello, ma uno strumento. E come ogni strumento, vale per l’uso che se ne fa. Senza governance coordinata, senza investimenti, senza una autonomia da dipendenze esterne, senza, in altre parole, una vera strategia industriale, la “semplificazione” resterà un’etichetta vuota. Se invece sarà incastonata in un ecosistema coerente, potrà trasformare la legge europea in ciò che davvero deve essere: non solo garanzia di diritti, ma anche strumento di potere economico e geopolitico.
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