la storia della Cava di Lipari ed un futuro che non stupisce
Lo sappiamo bene che nella nostra epoca (geologicamente mi sento di dire che siamo nell’Antropocene) spesso gli interventi sul territorio sono giustificati non tanto per il loro valore per la collettività, quanto perché creano lavoro. Ma altrettanto spesso questi interventi lasciano segni indelebili sul territorio stesso.
Questa è anche la storia della Cava di Lipari, una cava di un bianco abbacinante, una cava di pomice, visibile benissimo dal mare sia da nord, sia da est. Una cava che si è mangiata parecchi chilometri quadrati del Monte Pilato, un vulcano spento, dalle cui eruzioni nacquero i depositi di pomice, e le colate di ossidiana. La cava è “per Lipari una ferita clamorosa” come ricorda Pietro Lo Cascio, guida naturalistica dell’isola.
Ma qui si innesca l’altro elemento: per svariati decenni la cava ha costituito un’occasione di lavoro per un migliaio di abitanti dell’isola eoliana. Un lavoro duro: dura l’estrazione, ma duro soprattutto il trasporto per imbarcare i sacchi: anche cento tragitti al giorno dalla cava al mare con cento chili sulle spalle. Un lavoro peraltro anche ben remunerato, ma che è costato la salute e spesso anche la morte degli operai addetti all’estrazione. Molti per incidenti sul lavoro ma anche per la silicosi, causata dall’inalazione delle polveri.
Di tutto questo, con accenti malinconici tratta il film La cava bianca della Ethnos film, per la regia di Marco Mensa ed Elisa Mereghetti, con testi ispirati dello scrittore Davide Sapienza. Film scaricabile da Vimeo e presentato nei giorni scorsi proprio a Lipari.
“Un film che spezza il cuore” come afferma Gian Antonio Stella dalle pagine del Corriere della Sera, lui che già si era occupato in precedenza della cava per lo stesso quotidiano. Ma spezza il cuore perché, se da un lato la natura si sta riprendendo e sta medicando a poco a poco le ferite, dall’altro è triste vedere come l’uomo abbia abbandonato a se stesse le strutture industriali dopo la chiusura avvenuta nel 2007.
Fin qui il documento filmico. E dopo? Dopo ecco un’appendice a cui ci stiamo purtroppo abituando in molte zone del nostro Paese. A seguito del fallimento della Pumex (ultima impresa proprietaria dell’attività escavatoria), la procedura ha ceduto i terreni e relativi manufatti per l’irrisoria cifra di tre milioni di euro alla società MB Project, rappresentata da Fausto Mandarano, dopo che la Regione ne aveva offerti quattro e mezzo a mezzo di Deliberazione n.202 del 14.04.2022, impugnata dalla curatela fallimentare davanti al Tar Sicilia, che le diede ragione. Una vittoria di Pirro, se si confrontano le due cifre.
Ma soprattutto cosa si vuole fare della ex cava? Sarebbe un finale che, come dicevo sopra, non stupisce: probabilmente sorgerà un hotel a cinque stelle, o comunque una struttura per pochi clienti danarosi. Una soluzione che vedrebbe privatizzare un luogo che invece doveva tornare alla comunità liparese. Una soluzione che tra l’altro cozza con il Piano di Gestione Unesco delle Eolie (tutto l’arcipelago è Patrimonio Unesco dal 2000), Piano firmato da Stato e Regione, e che prevedeva l’istituzione di un parco nazionale e investimenti per ambiente e cultura.
Ma nel nostro misero Paese tutela ambientale e cultura non sono molto apprezzati, anzi ci fu addirittura chi autorevolmente affermò che con la cultura non si mangia. E allora meglio il sempiterno cemento che metterà una pietra tombale anche ai ricordi di un’epoca.
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