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La Sirenetta nera, ma quanto conta la cancel culture? Ecco le parole che definiscono il mondo per Vera Gheno


Che cosa ci fa una sociolinguista italo-ungherese a Udine, ospite del Fake News Festival? Vera Gheno, autrice di molti saggi (tra cui “Femminili singolari. Il Femminismo è nelle parole”, effequ edizioni), conosciuta suo malgrado come la “paladina dello schwa”, divulga per una comunicazione corretta e inclusiva.

Sabato, 16 novembre, alle 17 è attesa a Casa Cavazzini con il diversity editor Pasquale Quaranta per l’incontro dal titolo: “La sirenetta nera”. Gheno ha collaborato per vent’anni con l’Accademia della Crusca. Dal 2021 è ricercatrice all’Università di Firenze. Ad aprile 2024 è uscita la sua sedicesima monografia, “Grammamanti. Immaginare futuri con le parole” (Einaudi).

Conduce, per Il Post, il podcast “Amare Parole” e si occupa prevalentemente di comunicazione mediata tecnicamente, questioni di genere, diversità, equità e inclusione. È dunque l’ospite perfetta di un festival che indaga il peso e la verità delle parole e il loro impatto sulle nostre vite.

Ci spiega cos’è la sociolinguistica?

«È una disciplina linguistica che però non si occupa della lingua come sistema a sé stante, della sua relazione con chi la parla. E quindi studia come parlano le persone e cosa comunicano attraverso le loro parole e la scrittura. Uno dei metodi per riconoscere le notizie false o distorte o comunicate in maniera da titillare certe reazioni passa proprio dal riconoscimento delle parole usate. Osservandole, in alcuni casi posso rendermi conto se la volontà che c’è dietro a una determinata comunicazione è semplicemente quella di dare una notizia o invece di provocare una reazione. A volte non c’è nemmeno bisogno che una notizia sia del tutto falsa, magari ha un fondamento di verità, però le cose vengono riportate in maniera imprecisa. Un modo tipico è quello di mettere qualcosa tra virgolette, come se la persona di cui si parla avesse davvero pronunciato quelle parole (il virgolettato ti fa pensare quello), e invece in tanti casi si tratta o di una sintesi, magari fatta male, o di una mistificazione di qualcosa che è stato detto in maniera completamente diversa».

Soprattutto con le recenti elezioni americane abbiamo visto come la comunicazione pubblica avvenga sempre più attraverso frasi corte, sempre più aggressive, che non tengono in nessun conto, anzi, delle reazioni e delle conseguenze che possono provocare. Cosa ne pensa?

«Penso che i regimi e il populismo abbiano sempre percorso questa strada. Guardo alla comunicazione del Ventennio fascista diventata famosa per gli slogan, per aver usato tanto il tricolon, le tre parole, come “Credere, Obbedire, Combattere”. Poi c’è stato il berlusconismo. È stata percorsa una lunga strada soprattutto nell’ambito della politica nel rendere labili i confini tra vero e falso. I politici sanno che noi abbiamo una comunicazione orizzontalizzata, cioè, schiacciata sul presente. Quindi oggi dico una cavolata e domani non se ne ricorda più nessuno. E un po’ su questo ci contano. Così le fake news continuano a girare. Mi viene in mente una notizia falsa che è in circolazione dal 2016 ossia che Laura Boldrini avrebbe chiesto di essere chiamata “presidenta”. Non è mai successo, è una notizia falsa che circola ancora. Tutta una serie di politici ci sta abituando alla irrilevanza del fatto che si stia dicendo una cosa vera o falsa. È una comunicazione improntata sulla reazione che provoca, e se dico una sciocchezza non importa».

Rabbia contro paura, si è detto per i candidati americani. Pare abbia vinto la rabbia.

«Ricordiamoci che -fobia, suffissoide che compare in tante parole tipo omofobia, islamofobia, ecc. etimologicamente vuol dire ‘paura’, che poi diventa odio. C’è una connessione anche nell’etimologia tra il sentimento di paura e quello di odio, che poi porta facilmente alla rabbia».

Ci anticipi qualcosa dell’incontro?

«Con Pasquale sarà un dialogo teso a sfatare le sciocchezze sul cosiddetto woke, sulla cancel culture, sull’eccesso del politicamente corretto, perché sono temi che fanno raccattare molti like, ma sui quali vengono dette molte imprecisioni; quindi, vorremmo parlare di cosa sia davvero la cancel culture, se c’è davvero questo pericolo in Italia, chi è che viene davvero silenziato e non può più dire le cose come una volta. La sirenetta nera è un titolo dato anche un po’ per provocare perché sappiamo che, quando Disney ha preteso “toccare le fiabe” si sono aperte le cateratte del cielo. Ci sembra un buon punto di partenza».

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