La Signora delle Camelie, piace la rivisitazione di Ortoleva al Teatro della Tosse
Genova. La Signora delle Camelie, testo tra i più rappresentati al mondo che ha avuto fortuna sia in prosa, sia nell’opera lirica (La Traviata) sia al cinema è un classico della letteratura romantica. Giovanni Ortoleva, uno dei registi più interessanti emersi negli ultimi anni, in questa nuova produzione targata Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse, Elsinor-Centro di Produzione Teatrale, Tpe-Teatro Piemonte Europa, Arca Azzurra Associazione Culturale, ne dà una lettura inedita e originale pur mantenendo l’ambientazione (bellissimi i costumi di Daniela De Blasio) e, solo in parte, il linguaggio. Lo spettacolo è in scena nella rinnovata sala Trionfo del Teatro della Tosse sino all’1 dicembre.
Un palcoscenico scuro e nudo, senza quinte, per raccontare la storia d’amore impossibile tra Marguerite Gautier, mantenuta dai suoi ricchi amanti e malata di tisi, e Armand Duval, giovane di buona famiglia e di belle speranze. Unico elemento scenografico un palchetto da teatro con tanto di tendaggio rosso (scene di Federico Biancalani) in cui Marguerite (una intensa Anna Manella) resta imprigionata sino alla fine come una recita di ciò che ci si aspetta da una come lei. L’incontro con Armand Duval fa nascere l’amore, qualcosa di inaspettato, ma il padre di lui ci mette lo zampino e consiglia a Marguerite di lasciare Armand per evitare che lui si rovini e l’escalation di voci in una Parigi in cui tutti sapevano di tutti.
L’Armand di Ortoleva (un poliedrico Alberto Marcello abile a cambiare umore e comportamenti restando credibile), è un bambinone non ancora cresciuto che vuole ottenere ciò che vuole e vive nella gelosia e nell’insicurezza che Marguerite lo tradisca. Il padre, anche nei panni del narratore (straordinario Gabriele Benedetti) cerca di convincerlo che l’amore passerà e che Marguerite rappresenterà la sua fortuna di scrittore perché mettere una storia con una donna che muore piace sempre, gli suggerisce.
E Marguerite, nel disperato e rabbioso monologo finale lo mette davanti alla realtà. Resterà per sempre con quell’etichetta di figlio e da Armand (o Alfredo nella Traviata), lo passa a chiamare Alexandre, essendo quella della Signora delle Camelie una storia vera (Dumas figlio si innamorò davvero di Marie Duplessis, così si chiamava) e lo accusa: trasformare una storia in un’opera è come imbalsamare quel personaggio, condannandolo per sempre a rivivere quel ruolo.
Del resto nelle note allo spettacolo si capisce bene dove Ortoleva vuole andare a parare: “E cosi mentre il mito, ripetizione dopo ripetizione, si fa più stucchevole e sentimentale, La dame aux camelias diviene soprattutto la cronaca impietosa di un omicidio sociale, in cui la violenza classista smaschera il romanticismo che l’ha coperta. Uno spettacolo teso tra l’ottocento e l’ultracontemporaneo, che racconta, insieme agli struggimenti e alla nobiltà d’animo della sua eroina, il voyeurismo e la perversione di una società che sfoga le sue tensioni sul corpo della donna”.
Completano il cast Nika Perrone (Prudenza) e Vito Vicino nei panni dell’amico di Armand, comprimari sensuali e funzionali a tenere alto il ritmo dell’ora e mezza di spettacolo, che non ha un attimo di respiro. Molto bravi in un lungo momento di unisono.
Applausi finali per tutti.