Politica

la Russia non riconoscerà più la Convenzione europea contro la tortura

La risoluzione numero 1266 del governo della Federazione Russa, presentata il 23 agosto, recita così: “Sulla presentazione al Presidente della Federazione Russa, affinché la sottoponga alla Duma di Stato dell’Assemblea Federale della Federazione Russa, di una proposta di denuncia da parte della Federazione Russa della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti e dei relativi Protocolli”. Il documento è stato firmato dal primo ministro Mikhail Mishustin, e chiede il ritiro della Russia sia dalla convenzione che dai suoi protocolli aggiuntivi.

Si tratta di un passo indietro rispetto al 1998, quando Mosca ratificò il trattato due anni dopo essere entrata nel Consiglio d’Europa. Il trattato, stipulato nel 1987, intende essere uno strumento di prevenzione rispetto alla tortura e a trattamenti inumani o degradanti. La guerra in Ucraina, iniziata tre anni e mezzo fa, ha fatto saltare più di una regola e come avviene in ogni conflitto, non esistono soldati che non abusano del loro potere su civili o militari prigionieri: in determinati casi i russi non fanno eccezione, così come gli ucraini.

In questo caso però c’è un documento ufficiale che chiede al presidente Putin di non riconoscere più la Convenzione europea. In un rapporto visionato dall’agenzia Reuters il 12 agosto, l’Onu esprime preoccupazioni per le violenze dei militari in due teatri: il conflitto nell’Est e in Medio Oriente. Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha evidenziato nel dossier numerosi casi di violenza sessuale contro gli ucraini commessi da soldati russi. Citando “fonti credibili”, Guterres ha sottolineato le “diffuse violazioni da parte delle forze armate russe, dei servizi di sicurezza e dei gruppi armati associati”, che prendono di mira principalmente i prigionieri di guerra ucraini in 50 centri di detenzione ufficiali e 22 non ufficiali: si tratta di strutture attive sia in Ucraina che in Russia.

I casi documentano una serie di abusi sui prigionieri: “violenza sui genitali, tra cui scosse elettriche, percosse e ustioni, nonché nudità forzata e nudità prolungata, utilizzate per umiliare ed estorcere confessioni o informazioni”. Già nel giugno 2023 la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Alice Jill Edwards, aveva espresso la sua preoccupazione per le notizie che giungevano dal fronte Est sul trattamento di militari e civili ucraini.

Nella lettera inviata all’Onu, Edwards ha affermato che la coerenza e i metodi dell’esercito di Mosca suggerivano “un livello di coordinamento, pianificazione e organizzazione, nonché l’autorizzazione diretta, una politica deliberata o la tolleranza ufficiale da parte delle autorità superiori”. I rapporti visionati dalle Nazioni Unite indicavano maltrattamenti e pessime condizioni di detenzione, traumi fisici e psicologici, allucinazioni, gravi perdite di peso per i detenuti e la maggior parte di loro non aveva avuto accesso a un’adeguata assistenza medica.

Nel febbraio 2025, il Financial Times ha pubblicato un video dove ufficiali russi sparano a sangue freddo ad alcuni prigionieri ucraini: il filmato era stato girato dagli stessi militari che aprivano il fuoco chiedendo ai colleghi di registrare l’esecuzione con i telefoni cellulari. Da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina, la Russia si è ritirata da diversi organismi: oltre che dal Consiglio d’Europa, il Cremlino ha deciso di fare un passo indietro rispetto alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Al momento dinanzi alla Corte europea, sulla Russia sono pendenti 17.450 ricorsi.


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